A 10 anni dall’inizio della crisi l’Italia non recupera

Dal 2007, l’ultimo anno prima dello scoppio della crisi globale, l’Italia deve ancora recuperare 4,2 punti percentuali di Pil e 19,2 punti di investimenti. A più di 10 anni dall’inizio della crisi poi i consumi delle famiglie sono inferiori di 1,9 punti, e il loro reddito disponibile è in calo di 6,8%. In materia di lavoro, inoltre, l’occupazione è aumentata dell’1,7%, mentre il tasso di disoccupazione è cresciuto dell’84,4%. Se, infatti, nel 2007 il tasso di coloro che era alla ricerca di un’occupazione si attestava al 6,1% nel 2018 è salito al 10,5%. È quanto emerge da una analisi dell’Ufficio Studi della Cgia di Mestre, che segnala però la tenuta dell’export: a distanza di un decennio le vendite all’estero sono cresciute del 13,9%.

Crollo degli investimenti, diminuzione dei consumi e disoccupazione

Alla base del calo del Pil, spiega la Cgia, ci sono soprattutto il crollo degli investimenti pubblici e privati e la diminuzione dei consumi delle famiglie, che costituiscono il 60% circa dell’intera ricchezza prodotta dal Paese ogni anno. Un trend sul quale ha pesato l’aumento dei disoccupati, riferisce Adnkronos, ed è compensato solo in piccola parte dall’aumento dell’occupazione. Nel 2018 il numero degli occupati presenti in Italia (23,3 milioni) ha superato il livello del 2007 (22,9 milioni). Tuttavia, è crollato il numero delle ore lavorate sceso a 43,2 miliardi (-6,1%, che in termini assoluti equivalgono a -2,7 miliardi di ore). Inoltre, nonostante si sia superato il numero del 2007, sono cresciuti in misura rilevante i lavoratori dipendenti con contratti a termine (+22,4 per cento rispetto al 2007), ovvero un aumento netto dei precari.

Difficile fare previsioni a breve termine

Quanto all’immediato futuro, la Cgia di Mestre ammette come diversi elementi (il rallentamento dell’economia mondiale, la Brexit e la fine del Quantitative easing) rendano estremamente difficile prevedere come andrà l’economia italiana. L’associazione prevede per l’anno in corso una crescita dello 0,8%, grazie, in particolar modo, all’incremento dell’1,9% degli investimenti e la crescita del +1,1% dei consumi delle famiglie, che dovrebbero far scendere la disoccupazione dello 0,2% e aumentare gli occupati dello 0,4%. Non è da escludere, inoltre, il varo di una manovra correttiva già prima dell’estate.

“Siamo meno ricchi, spendiamo meno e abbiamo più disoccupati”

Come sottolinea il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo “sebbene negli ultimi 5 anni il Pil sia tornato a crescere, rispetto l’anno pre-crisi siamo meno ricchi, sono franati gli investimenti, spendiamo meno e abbiamo più disoccupati. L’unica cosa veramente positiva è che il nostro made in Italy vola, e continua a conquistare i mercati stranieri. Stando alle previsioni di crescita che nel triennio saranno ben al di sotto dell’1% annuo, molto probabilmente il nostro Paese recupererà i 4 punti di Pil persi dal 2007 non prima del 2024: praticamente 17 anni dopo”.

Italia, l’e-commerce è ancora un mondo da uomini

L’e-commerce non si è ancora colorato di rosa. Almeno non in Italia. Nel nostro paese, infatti, le attività di vendita e acquisto on line nel corso del 2018 sono state prevalentemente effettuate da mani maschili. Uomini soprattutto di età compresa fra i 35 ed i 44 anni. Lo rivela una recente indagine realizzata da Idealo e anticipata da Adnkronos. Insomma, le donne comprano ancora relativamente poco in rete.

Pneumatici e accessori da moto le scelte clou

Gli uomini attivi on line hanno comprato prevalentemente pneumatici per motocicli e per fuoristrada, pneumatici invernali ed estivi e stivali da moto. Ma anche le signore, seppure in numeri minori, hanno fatto la loro parte. Lo afferma la ricerca, segnalando che se nel 2018 le intenzioni di acquisto registrate sul portale italiano di idealo sono aumentate del 20% rispetto allo stesso periodo del 2017, tra le categorie di prodotti maggiormente cresciute rispetto allo scorso anno ci sono quelle destinate ad un pubblico prettamente femminile come orecchini, prodotti solari, prodotti per la cura di viso e corpo e make up. E’ questo un settore di mercato che ha registrato un balzo in aventi del 200% settore che è aumentato ben del 200%, colorando un po’ più di rosa i trend dell’e-commerce tricolore.

Salute e bellezza un comparto in crescita

“Per il 2019 ci aspettiamo anche un aumento dell’utilizzo della comparazione prezzi da parte delle donne” ha detto all’Adnkronos Fabio Plebani, Country Manager per l’Italia della piattaforma Idealo. “Prevediamo, infatti, una crescita anche nei settori Salute & Bellezza, da sempre di maggiore interesse per il pubblico femminile”. Il 2019, aggiunge Plebani, “sarà comunque un anno interessante sotto diversi punti di vista anche per il settore degli smartphone con nuovi player come Xiaomi e Oppo che, secondo le previsioni, conquisteranno una buona fetta di mercato italiano”.

Smartphone e moda sempre nel carrello

Nel corso del prossimo anno la curiosità dei consumatori italiani online si concentrerà ancora sui prodotti hi-tech come gli smartphone anche se, secondo gli analisti di Idealo, “l’interesse nei confronti dei cellulari ha già registrato nel 2018 una leggera diminuzione rispetto al 2017”. Oltre agli smartphone, gli italiani punteranno a comprare sul web prodotti legati al settore dell’elettronica di consumo come tablet, notebook, cuffie. E non solo. L’e-commerce tricolore si baserà anche sui capi di abbigliamento come sneakers e scarpe da corsa o da allenamento, un settore che nell’anno che sta per chiudersi è stato particolarmente cercato. Tirando ancora il bilancio del 2018, tra le categorie più desiderate in assoluto rimangono smartphone, sneakers e televisori. A registrare invece una diminuzione di interesse sono stati nel 2018 prodotti di riscaldamento e ventilazione, maglioni da uomo, case per bambole e biciclette.

Calo delle nascite: i neonatologi lanciano l’allarme

Più morti che nuovi nati. A 464.000 nati in Italia nel 2017 corrispondono 647.000 decessi. Questo è il quadro delineato dall’Istat, e i neonatologi italiani lanciano l’allarme. “In Italia nascono sempre meno bambini, un numero nettamente inferiore rispetto ai decessi, meno anche rispetto agli anni della prima e seconda Guerra Mondiale. Perdiamo ogni anno circa 180.000 persone, è come se città come Modena o Reggio Calabria fossero azzerate”. Lo afferma il presidente della Società Italiana di Neonatologia (SIN) Fabio Mosca, in occasione del Convegno Indagine Famiglie 2.0 che ha avuto luogo a Roma, in Città del Vaticano.

Un paese che invecchia

“L’Italia è tra i paesi che fanno meno figli al mondo – continua Mosca -. L’indice di fecondità, il numero di figli per donna in età fertile, è 1,34, siamo con la Spagna il fanalino di coda in Europa”. Sulla base dei trend attuali, secondo le ultime previsioni Eurostat, nel 2050 nasceranno appena 375 mila bambini, e il rischio è che la famiglia italiana verrà completamente ridefinita. Tre quinti dei nostri bambini non avrà infatti fratelli, cugini, zie e zii, ma solo genitori, nonni e bisnonni. “Stiamo diventando un Paese con prevalenza della popolazione anziana: già oggi per 161 persone di età maggiore di 64 anni – aggiunge Mosca – ci sono solo 100 bambini di età inferiore a 15 anni. Di questo passo il welfare diventerà insostenibile, già oggi il rapporto tra la popolazione in età inattiva su quella attiva è del 55%”.

Come invertire la tendenza?

Bisogna invertire quindi questa tendenza. Ma come incentivare la natalità? Per poterlo fare occorre ricostruire un tessuto sociale e introdurre più facilitazioni per le famiglie, che in Italia oggi non risultano sufficienti. “Non è un caso che nelle regioni del Sud ormai da più di 10 anni la natalità sia più bassa che al nord”, sottolinea Mosca.

Il problema però non è solo economico, ma anche culturale. In Italia il figlio è visto “come un vincolo, un limite alla libertà, all’autonomia e all’affermazione personale, il nuovo stile di vita è individuale, ‘child free’ – spiega ancora Mosca. -. Ma una società senza figli è una società senza futuro”.

“Migliorare le politiche per la conciliazione tra casa e lavoro”

Non basta quindi ridare autonomia ai giovani e renderli indipendenti: per togliere incertezza e precarietà è necessario creare le condizioni per favorire decisioni familiari riproduttive. È opportuno “migliorare le politiche per la conciliazione tra casa e lavoro, rendendo l’organizzazione più adatta alle madri lavoratrici e offrendo asili e servizi numericamente ed economicamente adeguati – puntualizza Mosca -. È ormai non più rimandabile adottare politiche che privilegino le donne, garantendo lavoro e stabilità, partendo dalla consapevolezza che oggi le donne che lavorano fanno più figli”.

Incidenti sul lavoro, meno infortuni ma più morti

Gli infortuni sui luoghi di lavoro sono fortunatamente in diminuzione ma, d’altro canto e purtroppo, sono aumentate le morti sul lavoro. La mappa di queste tragedie è il frutto di un lavoro di raccolta dati dell’Inail. Tra gennaio e settembre 20178, infatti, sono state presentate all’Istituto 469.008 denunce di infortunio sul lavoro (-0,5% rispetto allo stesso periodo del 2017), 834 delle quali con esito mortale (+8,5%). Le patologie di origine professionale denunciate sono state 44.083 (+1,8%).

L’effetto del crollo del ponte Morandi

Come riporta una nota diffusa da Askanews, le denunce di infortunio sul lavoro con esito mortale presentate all’Istituto nei primi nove mesi di quest’anno sono state 834,65 in più rispetto alle 769 denunciate nel 2017 tra gennaio e settembre (+8,5%). L’aumento è dovuto soprattutto all’elevato numero di decessi avvenuti lo scorso mese di agosto rispetto all’agosto 2017 (109 contro 65). Diversi di questi sono stati causati da quelli che vengono definiti “incidenti plurimi”, cioè quegli incidenti che provocano contemporaneamente la morte di due o più lavoratori. Nel solo mese di agosto, infatti, si è contato lo stesso numero di vittime (36) in incidenti plurimi dell’intero periodo gennaio-settembre 2017. Tra gli eventi responsabili di questo tragico “bollettino”, quest’anno si registrano in particolare modo il crollo del ponte Morandi a Genova e gli incidenti stradali avvenuti a Lesina e a Foggia, in cui hanno perso la vita numerosi braccianti. Allargando l’analisi dei dati ai primi nove mesi, nel 2018 tra gennaio e settembre si sono verificati in totale 18 incidenti plurimi che sono costati la vita a 66 lavoratori, rispetto ai 12 incidenti plurimi del 2017, che hanno causato 36 morti.

Più incidenti nel Nord Italia e nel settore Industria

In base ai dati Inail rilevati al 30 settembre, appare evidente a livello nazionale un incremento sia dei casi avvenuti in occasione di lavoro, che sono passati da 551 a 581 (+5,4%), sia di quelli occorsi in itinere, in aumento del 16,1% (da 218 a 253). Nei primi nove mesi di quest’anno si è registrato un incremento di 67 casi mortali (da 648 a 715) nella gestione Industria e servizi e di cinque casi in Agricoltura (da 100 a 105), a fronte di un decremento di sette casi nel Conto Stato (da 21 a 14).

L’analisi territoriale evidenzia un incremento di 40 casi mortali nel Nord-Ovest (da 183 a 223), di 15 nel Nord-Est (da 196 a 211) e di 14 al Sud (da 165 a 179). Leggeri cali si rilevano al Centro (da 158 a 156) e nelle Isole (da 67 a 65). Ci sono differenze anche a livello regionale: 20 casi in più del Veneto (da 70 a 90) e 19 in più in Lombardia (da 94 a 113). Decremento netto invece in Abruzzo (da 38 a 22) e nelle Marche (da 28 a 15).

Tra le vittime più uomini che donne

L’aumento rilevato nel confronto tra i primi nove mesi del 2017 e del 2018 è legato prevalentemente alla componente maschile, i cui casi mortali denunciati sono stati 64 in più (da 696 a 760), mentre quella femminile ha registrato un decesso in più (da 73 a 74). L’incremento ha interessato sia le denunce dei lavoratori italiani (da 649 a 698), sia quelle dei lavoratori extracomunitari (da 84 a 97) e comunitari (da 36 a 39).

Nuova maturità in arrivo. Cosa cambia?

Da quest’anno scolastico entra in vigore la nuova maturità. L’Esame di Stato conclusivo della scuola secondaria di II grado subisce infatti alcune modifiche, e una circolare inviata alle scuole dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca fornisce un quadro preciso a docenti e studenti. Tra le novità, due prove scritte al posto di tre, più la prova orale. E più attenzione al percorso svolto dai ragazzi nell’ultimo triennio, con un punteggio maggiore assegnato al credito scolastico.

Nuovi requisiti per l’accesso all’esame

Quest’anno né la partecipazione durante l’ultimo anno di corso alla prova Nazionale Invalsi né lo svolgimento delle ore di Alternanza Scuola-Lavoro varranno come requisiti di accesso, riporta Adnkonos. Per poter essere ammessi alle prove bisognerà aver frequentato almeno i tre quarti del monte ore previsto, avere il 6 in ciascuna disciplina, avere la sufficienza nel comportamento. Il Consiglio di classe potrà deliberare l’ammissione anche con una insufficienza in una disciplina, o gruppo di discipline valutate con un unico voto, ma dovrà motivare la propria scelta.

Più peso al percorso di studi nella valutazione finale

Il voto finale continuerà a essere espresso in centesimi, ma da quest’anno si darà più peso al percorso di studi. Il credito maturato nell’ultimo triennio varrà fino a 40 punti su 100, invece degli attuali 25. Alla commissione spettano poi fino a 60 punti, massimo 20 per ciascuna delle due prove scritte e 20 per il colloquio. Il punteggio minimo per superare l’esame resta fissato in 60 punti. La Commissione d’esame può motivatamente integrare il punteggio, fino a un massimo di 5 punti, ove il candidato abbia ottenuto un credito scolastico di almeno 30 punti e un risultato complessivo nelle prove di esame di almeno 50 punti.

Due prove scritte al posto di tre

Per la prima prova scritta (italiano), in programma il prossimo 19 giugno, i maturandi dovranno produrre un elaborato scegliendo tra 7 tracce riferite a 3 tipologie di prove in ambito artistico, letterario, filosofico, scientifico, storico, sociale, economico e tecnologico.

Per l’analisi del testo la novità principale riguarda il numero di tracce proposte: gli autori saranno due, anziché uno come accadeva fino ad ora. Questo per coprire ambiti cronologici, generi e forme testuali diversi, e potranno essere proposti testi letterari dall’Unità d’Italia a oggi. La seconda prova scritta del 20 giugno riguarderà invece una o più discipline caratterizzanti i percorsi di studio.

A gennaio saranno comunicate agli studenti le materie della seconda prova. A febbraio, con largo anticipo rispetto al passato, sarà pubblicata l’ordinanza relativa agli esami di Stato.

Viaggi d’affari e sicurezza dei dati: il 65% dei viaggiatori non si sente al sicuro

Solo il 35% dei viaggiatori d’affari si sente molto sicuro di non compromettere la sicurezza dei dati della propria azienda durante la trasferta. E se i viaggiatori americani risultano molto più tranquilli (46%) rispetto a quelli dell’Asia Pacifico (28%) o dell’Europa (27%), la percentuale scende addirittura al 22% per i viaggiatori d’affari italiani. Secondo il CWT Safety & Security Study, una ricerca ideata da Carlson Wagonlit Travel e condotta da Artemis Strategy Group sui viaggi d’affari e la sicurezza dei dati, c’è ancora molto da fare per educare i viaggiatori su come proteggere i dati della loro azienda.

Solo il 3% degli intervistati provenienti dal nostro Paese si preoccupa

Solo il 3% degli intervistati italiani si dichiara preoccupato, ma la loro percezione del problema è abbastanza simile a quella dei colleghi stranieri. In generale le tre situazioni percepite come più pericolose dagli intervistati sono il furto o la perdita dei computer portatili o di altri dispositivi mobili (29%), l’uso di un Wi-Fi pubblico (21%), e il lavoro sul proprio laptop o dispositivo in luoghi non protetti (9%). A queste fanno seguito la condivisione involontaria di documenti aziendali (9%), l’accesso alle e-mail aziendali (8%), l’apertura di un file o di un sito non consentito (8%) e la disponibilità di documenti cartacei (6%).

Quasi la metà dei viaggiatori d’affari ha vissuto una violazione della sicurezza

Quasi la metà dei viaggiatori d’affari (46%) ha vissuto una violazione della sicurezza, percentuale che si riduce al 37% per i viaggiatori d’affari della Penisola. Inoltre, il 37% degli intervistati (36% per gli italiani) ha ammesso di aver scaricato file da mittenti non identificati, e la stessa percentuale ha aperto un’email di phishing (27% per gli italiani).

Fortunatamente, la maggior parte dei viaggiatori ha preso provvedimenti quando è venuta a conoscenza di una violazione della sicurezza o dei dati. Il 37% degli intervistati italiani ha notificato tempestivamente l’evento al dipartimento IT e il 31% ha spento subito il dispositivo, mentre il 25% ha riportato tutto all’azienda. Il 67% degli intervistati italiani inoltre ha confermato di saper segnalare un’email di phishing in modo appropriato.

“Consapevolezza e la formazione sono fondamentali per difendersi dalle violazioni”

“La consapevolezza e la formazione sono fondamentali per difendersi da possibili violazioni della sicurezza”, dichiara Andrew Jordan, Executive Vice President e Chief Technology Officer di CWT. Ma, sempre secondo la ricerca, meno del 20% dei viaggiatori d’affari ha dichiarato di aver ricevuto dalla propria azienda diverse comunicazioni formali o indicazioni sulla sicurezza dei dati e di Internet. E appena il 34% ha ricevuto alcune indicazioni su cosa non fare.

Per l’Italia quest’ultima percentuale sale al 41%, mentre si riduce all’11% quella di chi dichiara di ricevere comunicazioni formali e frequenti.

Come sopravvivere in ufficio quando tutti sono in vacanza

Se Facebook trabocca di foto di amici al mare, i colleghi sono partiti e la città è semideserta: rimanere al proprio posto dietro la scrivania può essere frustrante. In estate è difficile riuscire a mantenere la concentrazione al lavoro, soprattutto se il capo o i colleghi sono già partiti per le vacanze. Ma niente paura: a prestare soccorso a chi deve affrontare la permanenza in ufficio nei mesi più caldi c’è Hays Response, la divisione della societá di ricerca e selezione del personale dedicata ai profili junior.

Concedersi una work routine più leggera

Hays Response ha elaborato 5 consigli utili per chi deve lavorare durante i mesi estivi. Il primo è concedersi una work routine più leggera e organizzare le proprie giornate lavorative in modo più rilassato. Magari pianificando una to-do-list che includa solo le attività che devono essere portate a termine entro la giornata, e concedendosi pause di relax tra un compito e l’altro.

Anche organizzare una pausa pranzo diversa dal solito. (2) può essere utile. Anziché pranzare in ufficio meglio uscire a prendere una boccata d’aria, magari mangiando al parco, o scegliendo ristoranti che abbiano un dehors o una terrazza. Una pausa pranzo all’aperto migliora l’umore e aiuta ad affrontare il pomeriggio lavorativo.

Ricaricarsi durante il weekend

Se il proprio lavoro lo permette, è utile staccare la spina e rilassarsi durante il weekend (3) dimenticando gli impegni professionali. Se possibile, quindi, è bene spegnere il telefono aziendale, non controllare la posta elettronica ed evitare di portarsi a casa il lavoro nel fine settimana. Questo permetterà di rientrare il lunedì in ufficio con le batterie ricaricate e affrontare al meglio la settimana lavorativa.

Fare sport e adottare un abbigliamento più casual

Fare sport o meditazione prima di andare in ufficio (4) sarebbe certamente d’aiuto per arrivare al lavoro con una marcia in più. Una corsa o una nuotata al mattino, infatti, libera le endorfine e aiuta a ottenere un umore migliore.

Per i meno dinamici, può essere efficace anche la meditazione, utile per liberare la mente e ricaricarsi in vista di una nuova giornata in ufficio. Ma anche solo adottare un abbigliamento più casual (5) può essere utile. Pur mantenendo un dress code adatto al proprio ambiente lavorativo d’estate ci si può concedere un look più casual, senza cravatta per gli uomini e scarpe più comode per le donne.

Un abbigliamento confortevole ci fa sentire più a nostro a proprio agio. E ci fa affrontare meglio la calura estiva in città.

La qualità  ed il design delle proposte Leon Louis

Oggi più che mai i giovani sono particolarmente attenti nello scegliere cosa indossare, perché dall’abbigliamento dipende buona parte della prima impressione che gli altri si fanno di noi al primo sguardo. Per questo motivo si tende sempre più ad indossare capi che richiamino in qualche maniera il proprio stile di vita nonché la personalità, così da comunicare a chi ci osserva tratti del nostro modo di fare e di essere semplicemente comunicandolo tramite ciò che si indossa. Ecco il motivo per il quale le nuove generazioni sono sempre più selettive nel decidere quali capi d’abbigliamento acquistare, pur non rinunciando alla qualità di tessuti e lavorazioni. Leon Louis è uno di quei marchi in grado di abbinare stile e design ad una eccezionale qualità generale del prodotto, e riscuote da anni un successo che continua a registrare numeri al rialzo tanto da collocare questo prestigioso marchio in cima alle preferenze di giovani e meno giovani.

Presente sul mercato dal 2010, anno in cui Leon Louis presentò ufficialmente le sue collezioni al mondo, questo prestigioso marchi è oggi un punto di riferimento per giovani e meno giovani, i quali hanno precise idee in fatto di stile e design e accolgono favorevolmente un brand che consenta loro di ottenere esattamente l’impronta stilistica desiderata senza alcun compromesso. Puoi farti un’idea delle creazioni Leon Louis su www.revolutionconceptstore.it, e visionare in dettagli tantissime proposte in fatto di bermuda, pantaloni, giubbini e tanti altri capi selezionati appositamente per offrire una risposta concreta a quanti amano vestire in maniera ricercata e particolare. Ogni articolo è accompagnato da ampia galleria fotografica grazie alla quale è possibile scoprire in anteprima ogni dettaglio, e verificare la qualità della lavorazione. Aggiunta la merce al carrello ed effettuato il pagamento, si riceverà il proprio ordine direttamente a casa entro un paio di giorni lavorativi.

Fisco, non tornano i conti con la rottamazione delle cartelle

La Corte dei Conti lancia l’allarme sui conti della rottamazione delle cartelle fiscali. E non è un gioco di parole. Stando ai numeri rilevati, mancherebbero alle casse 9,6 miliardi di mancati versamenti all’Erario. Insomma, i conti pubblici si confermano “fragili”.

La relazione della magistratura contabile

La Relazione sul rendiconto generale dello Stato, condotta dalla magistratura contabile, parla di una”preoccupazione” per le condotte fiscali che si risolvono nel mancato versamento delle imposte evidenziate nelle dichiarazioni tributarie. Queste le affermazioni della Corte dei Conti, riprese dallAdnKronos: “A fronte di un ammontare lordo complessivo dei crediti rottamati di 31,3 miliardi, l’introito atteso per effetto della rottamazione” introdotta con le norme del 2016 “ammonta a 17,8 miliardi”. Di tale importo sono stati riscossi nei termini “solo 6,5 miliardi, comprensivi degli interessi per pagamento rateale. A tale somma introitata deve aggiungersi la parte rateizzata ancora da riscuotere pari a 1,7 miliardi comprensivi di interessi pertanto dei 17,8 mld previsti a seguito delle istanze di definizione pervenute, 9,6 miliardi non sono stati riscossi o costituiscono versamenti omessi”. Ancora, dalla finanza pubblica emergono “indicazioni positive, ma anche elementi critici connessi sia al quadro internazionale che a nuove fragilità sulle tendenze di medio-lungo termine dei nostri conti pubblici”.

I fattori di incertezza

La magistratura contabile evidenzia poi che “Numerosi si rivelano poi i fattori di incertezza”, quali gli affari internazionali, il protezionismo commerciale Usa e l’atteso esaurimento del Qe della Bce e, sul piano interno, l’insuccesso del rilancio degli investimenti pubblici e “la precarietà dell’assetto di un sistema fiscale che in quest’ultimo decennio di urgenze e di emergenze è stato sottoposto a stress continui che ne hanno offuscato i principi ispiratori”. E prosegue: “I più recenti indicatori sulla congiuntura internazionale è italiana riflettono un peggioramento del quadro generale. In particolare sembra da osservare con attenzione l’evidente flessione delle nostre esportazioni”.

Le scelte da adottare

Alla luce di queste considerazioni, la Corte dei Conti segnala che “si rafforza la necessità di effettuare scelte molto caute e interventi di politica economica selettivi”. Tra queste, l’efficienza della spesa. “L’orientamento verso una maggiore efficienza nella gestione delle risorse è reso urgente dal rischio che interventi di ulteriore compressione della spesa si traducano ormai in un progressivo scadimento della qualità dei servizi resi alla collettività”, avverte la Corte. E aggiunge: “è mediante interventi sulla qualità della spesa, oltre a quelli altrettanto importanti che mirano alla sua riduzione, che è possibile incidere concretamente sulla ripresa”.

Passione web per i musei italiani

Cresce la presenza e l’attività sul web e sui social dei musei italiani. Anche se il punto di partenza evidenzia un certo ritardo, la situazione in ambito digital delle istituzioni culturali italiane sta rapidamente cambiando, adattandosi a quello che succede nel resto d’Europa e del mondo. Ha fatto il punto sulla trasformazione dell’offerta museale tricolore la seconda edizione dell’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano e da poco presentato nella città lombarda.

Solo il 30% degli spazi museali offre servizi digitali in loco

I dati dell’ultimo Censimento ISTAT sui musei rivelano come, tra i quasi cinquemila presenti in Italia, solo il 30% offra oggi almeno un servizio digitale in loco (tra app, QR code, ma anche wifi e le più tradizionali audioguide) e almeno uno online (sito web, account social, biglietteria online). E la percentuale si riduce all’11% se si considerano le istituzioni culturali che offrono almeno due servizi insieme. Se per alcuni musei questo può essere il frutto di una precisa scelta strategica, in tanti casi si tratta di un problema di risorse economiche e di mancata consapevolezza dei costi e benefici che derivano dall’innovazione digitale.

Beni e Attività Culturali, segnali di miglioramento dal secondo Osservatorio Innovazione
I dati della seconda edizione dell’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali, relativi alla presenza online di circa 500 musei distribuiti in tutta Italia, evidenziano una leggera crescita del numero di istituzioni culturali con un sito web proprietario (43% rispetto al 42% dello scorso anno) e passi avanti sul fronte dei servizi messi a disposizione: la biglietteria online è presente nel 23% di questi (+3 %  rispetto allo scorso anno), il 67% ha in homepage icone per l’accesso facilitato alle pagine social (+4%) e il 55% consente l’accesso alla collezione virtuale (+3%).

Cresce la presenza sui canali non proprietari

A crescere con tasso più sostenuto è invece la presenza sui canali non proprietari: il 75% dei musei coinvolti nell’indagine è su Tripadvisor (+20% rispetto a fine 2016) ed è in aumento il numero di account ufficiali dei musei su tutti i maggiori canali social, in particolare su Instagram (la copertura è passata dal 15% all’attuale 23%). In contemporanea è anche cresciuto il numero di musei che hanno scelto di utilizzare Facebook, Twitter e Instagram (dal 13% al 18%), mentre la percentuale di musei senza un account social scende dal 46% al 43%.