Facebook, in Italia sono 214mila i profili condivisi con Cambridge Analytica

In Italia i profili di Facebook condivisi in modo improprio con Cambridge Analytica sarebbero più di 214mila, in particolare 214.123. E a livello globale si è arrivati al numero di 87 milioni, ben 37 milioni in più dei 50 milioni di cui si era parlato subito dopo lo scandalo.

I dati aggiornati figurano nel penultimo paragrafo del blogpost pubblicato dal chief technology officer di Facebook, Mike Schroepfer, dove si illustrano i cambiamenti adottati dal social media per proteggere informazioni e dati degli utenti.

“In totale, crediamo che le informazioni di Facebook relative a 87 milioni di persone, prevalentemente negli States, possano essere state impropriamente condivise con Cambridge Analytica”, scrive Schroepfer nel testo.

In Italia 57 persone hanno installato ThisIsYourDigitalLife e hanno coinvolto la loro rete di amicizie

Attraverso un test di personalità, Cambridge Analytica era riuscita ad accedere a informazioni come la città indicata sul profilo degli utenti, o ai contenuti ai quali avevano reagito, riporta QuiFinanza. Circa 320 mila persone sono state pagate tra 2 e 5 dollari per rispondere al quiz, cui si poteva accedere autenticandosi con le credenziali di Facebook. L’app raccoglieva anche altre informazioni, come i like e i dati personali dall’account Facebook, così come quelli degli amici di chi si era sottoposto al test. In Italia le 57 persone che hanno installato ThisIsYourDigitalLife, l’app di Aleksandr Kogan, hanno coinvolto la loro rete di amicizie, arrivando appunto a coinvolgere 214.123 profili.

Zuckerberg: “la responsabilità è mia”

In una conference call con i media Mark Zuckerberg ha ammesso che la società ha commesso un “enorme errore” a non adottare ulteriori misure per proteggere i dati e la privacy dei propri utenti, riferisce Adnkronos. Alla domanda se qualcuno di Facebook fosse stato licenziato in seguito allo scandalo di Cambridge Analytica, Zuckerberg ha detto che la vicenda è una sua responsabilità. “Non ho intenzione di licenziare qualcuno per gli errori che abbiamo commesso qui”.

Per la CE l’accesso ai dati personali e l’uso improprio degli stessi non è accettabile

Per la Commissione Europea, dichiara Christian Wigand, portavoce della CE, “l’accesso ai dati personali e il successivo uso improprio degli stessi appartenenti a utenti Facebook non è accettabile. La commissaria Vera Jourova – continua il portavoce – ha mandato una lettera a Facebook la settimana scorsa, per chiedere ulteriori chiarimenti entro due settimane. Nel frattempo Facebook si è già messa in contatto con noi e dimostrato la volontà di confrontarsi: ora stiamo organizzando contatti ad alto livello nei prossimi giorni”.

Diesel, il bando inizia dalla Germania

Le auto alimentate a diesel saranno via via messe al band sulle strade d’Europa. Lo stop è partito dalle città tedesche: lo ha deciso, per tutelare la qualità dell’aria, il Tribunale amministrativo federale di Lipsia. Al centro del caso ci sono Duesseldorf e Stoccarda, ma la pronuncia del tribunale apre la strada al divieto anche in altre città. E non solo in Germania, perché è arrivato anche l’annuncio del sindaco di Roma Virginia Raggi: a partire dal 2024, nel centro della Capitale sarà vietato l’uso di automobili diesel.

Il rapporto di Greenpeace

Stando agli ultimi report di Greenpeace, Roma è una delle quattro città italiane (insieme a Milano, Torino e Palermo), più colpite dall’inquinamento da biossido di azoto, che negli ambienti urbani proviene per il 70-80% dai trasporti, e in massima parte proprio dai diesel. In base al report dell’associazione ambientalista, come riporta Adnkronos, 39 monitoraggi sui 40 realizzati nei pressi di altrettante scuole, tra asili ed elementari, hanno rilevato concentrazioni di NO2 superiori ai valori limite per la salute umana, individuati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità in 40 microgrammi per metro cubo. La situazione peggiore è quella registrata a Torino e Milano dove i valori hanno superato gli 80 microgrammi per metro cubo, cioè più del doppio rispetto alla soglia sanitaria. Ma a Palermo e Roma la situazione è appena meno grave: con valori compresi tra i 70 e i 60 microgrammi per metro cubo.

In Italia valori pericolosi per la salute

“Quello della Raggi è un annuncio che risponde positivamente alla campagna che Greenpeace sta portando avanti da mesi, rivolta proprio al governo capitolino, oltre che a Milano, Torino e Palermo Abbiamo chiesto un segnale chiaro, una data di scadenza per la tecnologia motoristica più inquinante e nociva per l’ambiente e la salute, che servisse prima di tutto a orientare il mercato. Questo segnale è arrivato e speriamo dissuada fin d’ora i cittadini romani dal comprare ancora auto diesel; così come speriamo misure analoghe vengano presto adottate da tutte le altre città italiane” ha detto Andrea Boraschi, responsabile della campagna Trasporti di Greenpeace Italia.

L’annuncio di Virginia Raggi

Annunciando lo stop delle auto diesel nel centro città dal 2024, la sindaca di Roma Virginia Raggi ha scritto su Facebook: “I cambiamenti climatici stanno modificando le nostre abitudini di vita. Le nostre città rischiano di trovarsi di fronte a sfide inattese. Assistiamo sempre più spesso a fenomeni estremi: siccità per lunghi periodi, come sta avvenendo nel Lazio; precipitazioni che in un giorno possono riversare sul terreno la pioggia di un mese intero; o anche nevicate inusuali a bassa quota come quelle che in questi giorni stanno investendo l’Italia”. “Per questo dobbiamo agire velocemente. Insieme alle altre grandi capitali mondiali – annuncia Raggi – Roma ha deciso di impegnarsi in prima linea e a Città del Messico, durante il Convegno C40, ho annunciato che, a partire dal 2024, nel centro della città di Roma sarà vietato l’uso di automobili diesel”.

Italia, a energia siamo messi male

Povera Italia, e soprattuto povera Italia… al freddo. Il nostro Paese, infatti, sta vivendo un momento di difficoltà energetica. Lo rivela l’Osservatorio Ue sulla povertà energetica, che segnala quanto lo Stivale sia messo maluccio rispetto alle altre nazioni del Vecchio Continente. Qualche dato per comprendere la gravità del fenomeno: dalle nostre parti, il 14,6% delle persone ha difficoltà a scaldare, il 9,1% ritarda nei pagamenti delle bollette, addirittura i morti in più in inverno toccano il 14% .

Luce e gas, un  problema per le famiglie

L’Italia è tra i Paesi europei dove le famiglie hanno più difficoltà a scaldare le proprie case e a pagare le bollette di luce e gas. E’ quanto emerge dai dati dell’Osservatorio Ue sulla povertà energetica, una nuova iniziativa che per la prima volta raccoglie online in modo aggregato e comparabile i dati di tutti i Paesi europei relativi ai diversi aspetti del problema. Per consolarci un po’, si può considerare che l’Italia non è all’ultimo posto in nessuno degli indicatori presi in esame, però il nostro paese si piazza comunque nella fascia medio-bassa della classifica europea. Ad esempio, dall’analisi emerge che il 14,6% delle famiglie italiane non riesce a mantenere la propria casa riscaldata in modo adeguato: peggio di noi, che siamo in 20a posizione, fanno solo altri 8 paesi Ue. Un altro numero significativo è che solo l’85,4% delle case è dotato di un riscaldamento sufficientemente efficiente a mantenere l’abitazione al caldo. D’altro canto, quasi la totalità delle casse del Belpaese (il 95,2%) è dotata di un sistema di riscaldamento.

Prezzi alti e troppa umidità

Sebbene da noi i prezzi dell’elettricità e del gas siano i terzi più cari dell’Ue insieme rispettivamente all’Irlanda (più cari solo in Danimarca e Germania), e alla Spagna (precedute da Svezia e Portogallo), è sempre in Italia che si riscontra un’altissima percentuale di abitazioni umide, con perdite e riparazioni da fare a tetti e infissi (23%, sesta su 28). Anche per queste problematiche, l’Italia ha un alto numero di decessi in eccesso rispetto alla media invernale (il 14%), posizionandosi in questa triste classifica al 7° posto.

“Nel 2018 problema inaccettabile”

“La povertà energetica è una questione che riguarda tutti i nostri stati membri, anche quelli più grandi e che stanno meglio” e questo “ancora nel 2018, è un problema inaccettabile” anche perché “riduce l’inclusione sociale e aumenta i problemi di salute”, ha detto il vicepresidente della Commissione Ue all’unione dell’energia Maros Sefcovic nel presentare l’Osservatorio.

 

Pensioni, chi sì, chi no, quando?

La buona notizia è che arriverà un mini aumento delle pensioni: per effetto dell’inflazione relativa al 2017, stimata provvisoriamente attorno all’1%, l’assegno pensionistico sarà infatti leggermente rivalutato. Questo rialzo, che riguarda le pensioni fino a tre volte il minimo (per le cifre maggiori l’incremento sarà invece più basso in modo progressivo), rappresenta solo una delle novità del 2018 che coinvolge il sistema previdenziale italiano.

Uomini e donne, tutti in pensione a 66 anni e 7 mesi

Tra le novità più significative spicca sicuramente quella che equipara i requisiti d’accesso alla pensione di vecchiaia per le lavoratrici del settore privato, che saranno allineati a quelli previsti per gli uomini. L’età minima, 66 anni e 7 mesi, sarà uguale per tutti. Finora alle lavoratrici del settore privato erano sufficienti 65 anni e 7 mesi se dipendenti e 66 anni e 1 mese se autonome.

Esenzione per 15 categorie di lavoratori

La Manovra 2018 prevede poi l’esenzione di 15 categorie di lavoratori dall’aumento dell’età pensionabile, lo ‘sconto’ contributivo riservato alle donne per accedere all’anticipo pensionistico e l’istituzione di un fondo ad hoc per l’Ape social. Sono appunto 15 le categorie di lavoratori esentati dall’automatismo che lega l’aumento dell’età pensionabile all’aspettativa di vita e che, come prevede la riforma Fornero, porterà a 67 anni l’accesso alla pensione dal 2019. Oltre alle undici categorie già beneficiarie dello ‘sconto contributivo’ (insegnanti di asilo nido e scuola materna, infermieri e ostetriche con lavoro organizzato in turni, macchinisti, conduttori di gru, camion e mezzi pesanti, operai dell’industria estrattiva, dell’edilizia e della manutenzione degli edifici, facchini, badanti che assistono persone non autosufficienti, addetti alle pulizie, operatori ecologici e conciatori di pelli), l’ape sociale apre anche a braccianti, marittimi, pesatori e siderurgici.

“Sconti” per le signore

Per quanto riguarda le donne lavoratrici, sale a un anno per ogni figlio lo ‘sconto contributivo’ al quale hanno diritto le donne per accedere all’Ape sociale. La riduzione dei requisiti contributivi previsti per le donne per accedere all’anticipo pensionistico viene ampliata da 6 mesi a un anno, nel limite massimo di due anni.

Fondo Ape Sociale

Si tratta di un fondo che dovrà fungere da cassa per i soldi necessari a coprire la misura dal 2019. Il fondo è infatti stato istituito ”ai fini del concorso al finanziamento dell’eventuale estensione del beneficio” a nuovi accessi con decorrenza successiva al 31 dicembre 2018. Fino a oggi, l’Ape sociale prevede l’uscita anticipata dal lavoro a 63 anni, con uno sconto di 3 anni e 7 mesi rispetto all’età di vecchiaia.

Il mercato del lusso si evolve: luxury sì, ma spazio anche ai brand premium

Che il segmento lusso sia uno di quei settori che non conosce crisi, attraversando indenne gli anni più duri dell’economia mondiale, non è certo una novità. Eppure qualcosa sta cambiando, a livello strutturale. Un trend di cui le aziende attive nel luxury non possono non tenere conto. Già, perché il prossimo futuro, stando alle previsioni, sarà sempre più trainato da beni sì belli e di pregio, ma meno costosi. Il casual entrerà negli armadi dei top spender e il mondo digitale detterà le nuove regole. Comprese quelle dell’apparire e degli status symbol.

Lusso, un business da 318 miliardi all’anno

Nel 2016 il mercato dei prodotti di lusso ha raggiunto i 318 miliardi di euro a livello globale e si prevede una crescita del 3,6% medio annuo nel periodo 2016-2020. I dati, davvero impressionanti, sono il frutto dello studio annuale di Ey, ‘The luxury and cosmetics financial factbook’. Ma, tra tanti indicatori positivi, ci sono appunto dei… ma. L’alto di gamma, in base alle analisi, si ferma infatti a una crescita del 3,4% nel quadriennio mentre avanza il segmento premium ed entry-to-luxury. La fascia di prodotti di livello medio-alto, quindi, guadagna terreno e tocca il 100 miliardi. Per questo specifico segmento, il tasso di aumento previsto è decisamente maggiore: +6% al 2020.

Portafogli diversificati tra beni di lusso e premium

“Il lusso, che negli anni di crisi guidava la crescita, sta rallentando” afferma Federico Bonelli, partner Ey. Oggi in corso ci sarebbe una “rivoluzione dei consumi”. Gli stili di acquisto fra i consumatori sono modificati e oggi si tende a diversificare il portafogli tra beni di lusso e premium. Inoltre, i consumatori sono sempre più attenti anche ai segnali e alle indicazioni che arrivano dal mondo digitale, così come c’è un forte interesse della finanza per i nuovi brand emergenti dell’entry-to-luxury.

Stati Uniti ed Europa i regni del lusso, ma avanza la Cina

Inevitabilmente, cambia anche la mappa del lusso. Se Stati Uniti ed Europa occidentale rimangono le due potenze più importanti (rispettivamente con 131 miliardi e 109 miliardi), la Cina avanza a grandi passi: i consumatori cinesi si apprestano a diventare la terza “nazione” più grande, con un peso di oltre 100 miliardi di euro a livello mondiale.

Il Made in Italy solido in pole position

Il Made in Italy si conferma un’eccellenza capace di attrarre investimenti. L’Italia è la seconda nazione, dopo gli Usa e prima della Francia, per numero di operazioni M&A (merger and acquisition, fusioni e acquisizioni). Cambiano però anche le modalità di acquisto: scendono infatti le transazioni nei negozi fisici a favore dell’e-commerce.

Simplicity at Work: uno studio dimostra che solo un dipendente su cinque considera “semplice” il proprio lavoro

La semplicità paga, anche sul posto in lavoro. E si parla di produttività da parte dei dipendenti delle aziende. Un recente studio condotto da Siegel+Gale su 14.000 impiegati in nove paesi del mondo dimostra infatti che le imprese più attente alla semplificazione del luogo di lavoro ottengono da parte dei loro dipendenti maggiore fiducia, fidelizzazione, impegno e capacità di innovazione  Eppure, in base ai dati ottenuti, un lavoratore su 5 ritiene che la propria occupazione sia eccessivamente “complessa”, su tutti i fronti.

La semplicità paga, anche in azienda

Sono diversi i fattori che contribuiscono a rendere un luogo di lavoro “semplice”. Lo studio dimostra che primeggiano in questo ambito le organizzazioni che comunicano chiaramente dall’alto i loro scopi, valori e obiettivi aziendali. Sono semplici i luoghi di lavoro dove viene spiegato in modo preciso e trasparente ai dipendenti quanto le loro mansioni possano influire sulle relazioni con i clienti e, quindi, portare ai migliori risultati aziendali. I luoghi di lavoro semplici promuovono la sicurezza psicologica, generando fiducia ed efficacia in azienda.

Dipendenti ambasciatori del brand

Nei luoghi di lavoro “semplici” si è visto che i dipendenti sono degli autentici campioni del brand, impegnati a promuovere ciò che l’azienda produce e rappresenta.  Si tratta di personale motivato da fattori intangibili, come la soddisfazione e la crescita personale. Questi lavoratori tendono inoltre a rimanere impiegati più a lungo, mentre i dipendenti non coinvolti sono motivati esclusivamente dallo stipendio e dai benefici economici. L’analisi, condotta a livello globale, ha messo in luce quanto sia importante il rapporto fra luoghi di lavoro semplici, cioè quelli in cui i dipendenti completano con facilità i loro compiti e si sentono produttivi e soddisfatti nel farlo, e i livelli di coinvolgimento nei confronti della propria azienda e del proprio datore di di lavoro.

Il valore aziendale si crea con la facilità

“In un’epoca in cui le vostre persone sono il vostro brand, lo studio dimostra il modo in cui la semplicità promuove la cultura organizzativa per trainare il valore aziendale”, ha affermato Brian Rafferty, direttore globale analisi aziendali e introspezioni di Siegel+Gale. “La ricerca dimostra i vantaggi per le piccole e grandi aziende dovuti alla semplificazione della vita al lavoro. La creazione e il mantenimento di una forte cultura del luogo di lavoro è un fattore di differenziazione per attrarre e trattenere i talenti al top. La costruzione della cultura aziendale tramite esperienze semplici sul lavoro è fondamentale”.

Tasse: i lombardi sono gli italiani che pagano di più

Triste primato per i lombardi: sono loro che, in una classifica per Regioni, pagano più tasse al Fisco. In base a una recente ricerca condotta dall’Ufficio studi della CGIA, risultano proprio i lombardi i più tartassati dalle tasse rispetto agli altri cittadini italiani. Le regioni del Sud Italia, invece, sono quelle dove il sistema tributario si fa sentire con meno pesantezza.

Un confronto a tappeto su tutte le Regioni

L’analisi ha messo a confronto il gettito di imposte, tasse e tributi versati allo Stato, alle Regioni e agli Enti locali dai lavoratori dipendenti, dagli autonomi, dai pensionati e dalle imprese residenti su tutto il territorio nazionale. Le Regioni dove il fisco è più “gentile”, se così si può dire, risultano essere quelle meridionali. Ad esempio, riferendosi ai dati del 2015, in Campania  il gettito pro-capite medio è risultato di 5.703 euro, in Sicilia di 5.610 euro e in Calabria di 5.436 euro. Nel Sud e nelle Isole, stando ai numeri rilevati, il peso complessivo del fisco è pari a quasi la metà di quello che invece peserebbe sugli italiani che vivono nelle regioni del Nordovest.

Quasi l’85% delle imposte va allo Stato centrale

“L’esito di questa analisi dimostra come ci sia una correlazione tra le entrate fiscali versate, il reddito dichiarato e, in linea di massima, anche la qualità/quantità dei servizi erogati in un determinato territorio” ha spiegato Paolo Zabeo, coordinatore della CGIA. Sempre dalla ricerca, si evidenzia con chiarezza dove vadano a finire le tasse versate, con forti differenze a seconda dei livelli di governo. La ricerca segnala che il dato medio nazionale di tasse nazionali e locali versate nel 2015 ammonta a 8.800 euro pro capite. Di questo importo, l’84% è stato destinato allo Stato centrale (7.390 euro pro-capite), un altro 9,3% è andato alle regioni (825 euro pro-capite) e solo il 6,7% è stato assorbito dagli Enti locali, come i Comuni, le Province e le Comunità montane (585 euro pro-capite).

Quest’anno previsti meno carichi per le imprese

Volendo vedere il bicchiere mezzo pieno, quest’anno – rispetto al 2016 – l’imposizione fiscale dovrebbe scendere dello 0,4%. Questa come conseguenza della ripresa del Pil e alla riduzione dell’aliquota Ires (Imposta sui redditi delle società) che dal 27,5 scende al 24%. Per le società di capitali dovrebbe tradursi in un risparmio di circa 4 miliardi di euro. In generale, poi, le stime prevedono per il 2017 una pressione fiscale che si attesta al 42,5%.

Manager allo stremo: colpa dello stress e delle poche pause

I manager non riescono a staccare la spina dal proprio lavoro. Per un eccesso di tempo speso in ufficio, amministratori delegati e dirigenti non ce la fanno a ritagliarsi delle pause da dedicare al relax o alle attività preferite. Insomma, considerare i “tempi morti” come un’occasione per pensare sembra essere un’utopia nelle grandi aziende e nelle multinazionali, sempre più complesse e invadenti.

Sotto pressione sette giorni su sette, 24 ore su 24

Il tema è di attualità, tanto che Boston Consulting Group gli ha dedicato uno studio approfondito, condotto su interviste ad amministratori delegati di diverse nazionalità. In base alle risposte, risulta evidente che le aziende siano sempre più complesse. Negli ultimi 50 anni, rivela l’indagine, l’indice di complessità delle maggiori compagnie elaborato da Bcg è cresciuto a un tasso del 7% all’anno. I “poveri” manager, quindi,  sono sottoposti a una pressione estrema sette giorni su sette, 24 ore su 24. E non va bene, nemmeno per la produttività.

Lo stop serve a lavorare meglio

Michele Panzetti, senior trainer della Scuola di Palo Alto, ha dichiarato in un’intervista all’agenzia AdnKronos che “se si lavora dodici ore al giorno tutti i giorni il nostro cervello ci fa andare più lenti, crea meccanismi di difesa, al pari del ‘fiatone’ quando si corre. I manager che funzionano sono quelli che hanno il coraggio di delegare e di avere momenti di stop”. “Non bisogna confondere l’iperattività con l’efficacia: essere indaffarati non significa essere produttivi”, spiega il rapporto di Bcg.

Aumentano i corsi per i manager, anche di cucina

Non è quindi un caso che si stia registrando, nelle aziende top, un deciso incremento di corsi leisure destinati ai manager, da quelli di musica a quelli di cucina. Tutte strategie per staccare la spina e ricaricare la mente con esperienze piacevoli e appaganti. Mentre all’estero è (quasi) assodato che un cervello che si concede distrazioni è poi più pronto a elaborare le informazioni, soprattutto quelle professionali, in Italia non è ancora così.

Dal più al meglio

Ora, secondo lo studio, “una delle più grandi sfide per gli amministratori delegati è placare l’iperattività per impegnarsi nel pensiero critico, facendolo diventare una routine”. La parola d’ordine per il futuro, specie per i mercati del domani, sarà quella di trasformare il presunto teorema “più produco più valgo sul mercato” con la logica del “meglio produco e meglio riesco a stare su mercato”. E le aziende che sapranno muoversi per tempo in questa direzione saranno quelle vincenti.

Senza plastica non è una borraccia: ecco Chilly’s Bottle

Punta sulla vendita online e su una campagna advertising sui social network Chilly’s Bottle, la bottiglia di design che consente di mantenere l’acqua ghiacciata per 24 ore lontano dal freezer. Il mini video on air su Facebook dura pochi istanti, mostra una bottiglia celeste con tappo e inserti cromati e finora ha raccolto 1,8 milioni di visualizzazioni. In molti hanno potuto così leggere la promise: “24 hours cold”. È il claim ideale per un’estate davvero torrida in Italia, ma buone prestazioni Chilly’s Bottle le promette anche in inverno, quando sarà utile conservare bevande calde per ben dodici ore.

Il mercato italiano è molto importante per Chilly’s Bottle, invenzione nata a Londra. L’Italia è il paese che consuma più acqua minerale imbottigliata in tutta Europa, per 12 miliardi di litri all’anno (ma il business appare in crescita). Gli italiani non si fidano dell’acquedotto, nonostante un’inchiesta di Report, popolare trasmissione di Rai Tre, abbia in qualche modo sconfessato questo pregiudizio, pubblicando dettagliati risultati di laboratorio sulle acque minerali imbottigliate e indicando i valori di boro, arsenico, nitrati e uranio in esse presenti, per fare qualche esempio. A tale situazione, si aggiunge la raccomandazione di Altroconsumo nell’utilizzo “usa e getta” delle bottiglie in Pet: questo materiale tende ad intaccarsi e, secondo l’ente che tutela i consumatori, non può garantire l’affidabilità nel riutilizzo.

Chilly’s Bottle, tuttavia, in comunicazione sembra non voler spingere troppo sui materiali utilizzati per la costruzione, forse per proteggere il brevetto industriale. I punti di forza elencati dalla casa sono la mancanza di condensazione e sudorazione dei liquidi, il tappo a vite a prova di perdita e la lunga durata dei materiali. Non si insiste molto sulla specifiche tecniche, perché in comunicazione è più importante un racconto per emozioni, e Chilly’s Bottle fa di tutto per essere trendy attraverso uno stile moderno, urbano, che attraverso shooting fotografici appositamente studiati sembra privilegiare la vita sportiva e l’avventura, e in seconda battuta l’aspetto ambientale e salutistico.

Sul profilo Instagram – centrale per le strategie di comunicazione della casa – ci sono foto in cui Chilly’s Bottle viene riempita con acqua di fonti sorgive, ma chi ha a cuore la tematica ambientale probabilmente si doterà di un impianto di depurazione ad osmosi inversa per raggiungere la purezza dell’acqua ed altri rilevanti risultati ambientai, come l’abbattere il consumo di bottiglie in Pet. La vera rivoluzione di Chilly’s Bottle, tuttavia, sta nel rendere individuale, personale e glamour un atto vitale, naturale e semplice come il bere. È un oggetto di design che si può portare sempre con se, in modo da ottenere il fabbisogno giornaliero di acqua minerale. E lo si può fare scegliendo tra uno stile pastello, cromato, meta cromato, o altri definiti “neon” e “tropical”. E nel Regno Unito Chilly’s Bottle è personalizzabile addirittura con le incisioni delle proprie iniziali.

Tutti pazzi per l’E-bike

Per la bici italiana è un momento d’oro. Soprattutto il nuovo segmento dell’E-bike, la bici elettrica, sta seducendo sempre più i consumatori italiani. L’E-bike ha innovato un prodotto, la bicicletta, che per gli emergenti trend di consumo incentrati sul benessere, la cura dell’ambiente e uno stile di vita “slow”, era già al centro dell’attenzione del consumatore. Presso i negozi specializzati che fioriscono nei comuni italiani piccoli e meno piccoli, compaiono E-bike che seducono per le dimensioni maggiorate di gomme e scocche, ma allo stesso tempo hanno un design che evoca la leggerezza dei materiali impiegati. Nell’uso quotidiano, l’E-bike si apprezza per la sicurezza delle gomme più ampie, anche se il pregio più rilevante risulta essere la trasmissione cardanica, che assiste la pedalata in salita consentendo itinerari più avventurosi, come la collina e la montagna.

Un rapporto sulla mobilità in bicicletta elaborato da Legambiente con VeloLove e GROB+ getta un faro anche sulla maggiore attenzione dei Comuni nei confronti delle piste ciclabili, cresciute del 50% negli ultimi cinque anni. È il segno che quando uno stile di vita sano è incentivato anche dalle istituzioni, le ricadute possono essere positive in molti settori, come nel cicloturismo, che in Italia ogni anno vale circa due miliardi di euro (sempre secondo il rapporto Legambiente). O nella sanità, per la quale esistono risparmi stimati in base all’uso della bici. E anche la compravendita di biciclette e soprattutto E-bike dà soddisfazioni, con l’Italia che si conferma maggior produttore mondiale di questi veicoli (la quota è del 18%).

I dati di Confindustria Anicma scendono nel dettaglio per quanto riguarda l’E-bike. Nel corso del 2016 sono state vendute ben 124.400 E-bike in Italia, per un incremento sul 2015 del 120%. Si tratta di un boom senza precedenti, in un mercato che nel complesso vede un calo di vendita delle bici tradizionali del -2%. I costruttori italiani di E-bike ne stanno approfittando, tanto  che sono state esportate 3.500 E-bike nel 2015 e ben 8.000 nel 2016. Forte incremento anche nel mercato interno, con 16.000 E-bike vendute nel 2015 e oltre 23.000 nel 2016. A sorridere sono i negozi specializzati, in grado di seguire il cliente nella postvendita e nella riparazione meglio di quanto riesce a fare la Grande Distribuzione Organizzata. Un bel segnale in termini di economia diffusa. E, naturalmente, sorridono anche le aziende costruttrici come Wayel Electrobikes, che ha inaugurato a Bologna uno stabilimento zero energy building per la produzione di E-bike. Si punta tutto su Vento, modello indirizzato al pubblico femminile con cambio a 3 rapporti, sella ammortizzata, scocca bicolore (arancio e bianco, oppure arancio e nero) e due tipi di batteria con autonomia fino a 50 o 65 chilometri.