Telefonia mobile, la spesa media in Italia è di 126 euro l’anno

Qual è la spesa media in Italia per la telefonia mobile? Risponde alla domanda, indicando come valore medio pro capite 126 euro l’anno, la ricerca che Facile.it ha commissionato agli istituti di ricerca mUp Research e Norstat, realizzata su un campione rappresentativo della popolazione nazionale. Analizzando più da vicino il campione emerge che il 17% dei rispondenti, pari a circa 5,1 milioni di italiani, spende decisamente meno, vale a dire 72 euro l’anno; solo per il 5% dei clienti il costo supera i 240 euro annui.

I giovani campioni di risparmio
Come evidenzia la ricerca, il prezzo medio varia a seconda della fascia anagrafica. La bolletta più pesante è quella dei 65-69enni (156 euro l’anno) e quella dei 70-74enni (138 euro l’anno). Chi spende meno, invece, sono i 25-34enni e i 35-44enni; in media, rispettivamente, 119 euro e 115 euro l’anno. Per quanto riguarda il traffico dati, emerge che gli italiani in media  possono contare su 41,7 GB al mese. E se, da un lato, l’11% del campione dispone di solo 5 o meno GB al mese, dall’altro ci sono 3,4 milioni di italiani che hanno offerte con traffico dati superiore ai 70 GB mensili. Nonostante un volume di dati mediamente importante, non sempre i GB a disposizione sono sufficienti. Infatti, il 20% dei rispondenti, pari a poco meno di 6 milioni di individui, ha detto di fare fatica ad arrivare a fine mese con la propria offerta, dovendo così centellinare l’uso dei dati, per evitare di finirli. 

Il primo telefonino a 12 anni 

L’indagine ha messo in luce come negli ultimi 20 anni, cioè da quando i telefonini sono diventati prodotti di massa, l’età in cui se ne entra in possesso sia continuamente calata. Se i quarantacinquenni di oggi – per forza di cose – hanno ricevuto il primo cellulare intorno ai 23-24 anni, i venticinquenni lo hanno avuto a 14 anni e i diciottenni addirittura a 12 anni. Facile immaginare che l’età media continuerà ad abbassarsi in futuro.

In media 1,3 telefonini a testa

L’amore degli italiani per gli smartphone è cosa nota e l’indagine realizzata per Facile.it da mUp Research e Norstat lo conferma: in media ogni italiano ha 1,3 telefoni cellulari a testa. Il che significa che la quasi totalità della popolazione è dotata di un dispositivo mobile e che ci sono addirittura 7,3 milioni di italiani che ne hanno 2. Ancora, ben 1,7 milioni che ne possiedono 3 o più. 

L’e-commerce domina il mercato, e la crescita non rallenta

Prosegue in Italia una crescita record per l’e-commerce, trainata soprattutto dal settore dell’Elettronica. Secondo l’ultima rilevazione di Idealo il mercato digitale italiano è dominato dagli acquirenti abituali, che rappresentano il 61,1% del campione intervistato, anche se a questa percentuale va aggiunto il 23,9% di acquirenti intensivi, coloro che acquistano almeno una volta a settimana. Di fatto, nei primi sei mesi del 2021 5 italiani su 6 fanno acquisti sul web una volta al mese, pari al 5% in più di acquirenti digitali rispetto al 2020. Il 15,0% degli intervistati, poi, dichiara di fare shopping online una volta ogni trimestre o meno, rientrando così nella fascia degli acquirenti digitali sporadici.

I consumatori digitali comparano i prezzi e acquistano articoli di elettronica

Più della metà dei consumatori digitali italiani poi fa una comparazione dei prezzi e acquista online un prodotto di Elettronica.
Sulla base dell’andamento delle intenzioni di acquisto (score da 0 a 100) registrate sul portale di Idealo, nel 2020 gli articoli di Elettronica sono stati infatti i più cercati (score 100,0). Seguono la Moda & Accessori (44,9), Arredamento & Giardino (37,8), Sport & Outdoor (28,2), Salute, Bellezza & Drogheria (27,9), Bambini & Neonati (17,3), Auto & Moto (16,7), Giocattoli & Gaming (15,0), Mangiare & Bere (3,8) e Prodotti per animali (1,5).

I più cercati sono gli smartphone

Per quanto riguarda i prodotti più cercati online in Italia nel 2020, al primo posto figurano gli Smartphone (100,0), seguiti da Sneakers (53,0), Televisori (28,7), Smartwatch (23,2), Scarpe da corsa (21,1), Notebook (19,6), Console di gioco (15,8), Cuffie (15,4), Tablet (15,4) e Frigoriferi (14,1). Nel 2020 i prodotti sui quali acquistando nel periodo più conveniente si è potuto risparmiare di più nell’arco di un anno sono stati invece Disinfettanti (-49,7%), Tablet (-40,4%), Stampanti multifunzione (-32,2%), Notebook (-21,7%), Televisori (-21,5%), Aspirapolvere (-21,3%), Smartwatch (-18,5%), Console di gioco (-16,8%), Frigoriferi (-16,4%) e Avvitatori (-14,8%).

La pandemia rende popolari nuovi prodotti

Anche se nel 2020 i consumatori digitali italiani hanno cercato e confrontato principalmente i prezzi di smartphone e di prodotti legati all’elettronica di consumo, la pandemia ha reso ‘popolari’ nuovi prodotti, come ad esempio i gel disinfettanti. Le macrocategorie con la maggiore crescita di interesse online rispetto al 2019, riporta Adnkronos, sono state Arredamento & Giardino (+190,5%), Drogheria & Salute (+164,7%), Mangiare & Bere (+159,2%), Prodotti per animali (+116,5%), Elettronica (+96,7%), Sport & Outdoor (+96,3%), Bambini & Neonati (+91,5%), Giocattoli & Gaming (+88,7%), Auto & Moto (+83,6%), Salute & Bellezza (+80,8%) e Moda & Accessori (+72,7%).

Italiani scettici e impreparati per la sostenibilità digitale

Qual è il livello di consapevolezza degli italiani sui temi sostenibilità e digitale? E qual è il loro punto di vista sul ruolo della digitalizzazione come strumento di sviluppo sostenibile? A queste domande risponde la ricerca Italiani e Sostenibilità Digitale: cosa ne sanno, cosa ne pensano, realizzata dal Digital Transformation Institute, la prima Fondazione di Ricerca italiana per la sostenibilità digitale. Con Next Generation EU, l’Italia potrà infatti investire nei prossimi anni 191 miliardi di euro nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Un piano basato appunto su due assi, digitalizzazione e sostenibilità ambientale e sociale.

La percezione dell’urgenza delle scelte sostenibili
L’80% degli italiani afferma di avere una conoscenza abbastanza o molto precisa della sostenibilità. Tuttavia, le persone interpretano tale concetto in una dimensione ideologica, priva di un reale impatto nei comportamenti o nelle azioni. Ciò emerge con forza a partire dalle priorità percepite: il 46% degli italiani ritiene prioritarie le scelte ambientali e il 38% quelle orientate al benessere dell’individuo, con un 16% che mette al primo posto le scelte economiche. Allo stesso tempo una parte significativa degli italiani (62%) non è in grado di correlare la visione di sostenibilità che ritiene prioritaria con le scelte economiche e sociali che dovrebbero essere coerenti con essa.

La strada per la sostenibilità digitale è in salita
Anche per quanto attiene la tecnologia i contrasti sono molto forti. Il 92% ritiene infatti che il digitale sia fonte di opportunità, ma il 65% sostiene anche che sia fonte di diseguaglianza, perdita di posti di lavoro e ingiustizia sociale. La strada per la sostenibilità digitale, ovvero l’uso della tecnologia come strumento di sostenibilità ambientale, sociale ed economica, è quindi in salita. Inoltre, benché la maggioranza degli italiani abbia chiara l’urgenza di affrontare problemi come il cambiamento climatico (74%) e l’inquinamento (76%), la gran parte nella pratica quotidiana non fa quanto potrebbe per usare la tecnologia come strumento di sostenibilità. Sono infatti solo il 10% gli italiani che utilizzano regolarmente applicazioni a supporto della riduzione dei consumi, mentre il 13% le usa raramente, e il 27% dichiara di non conoscerne l’esistenza. Ma il dato più significativo è rappresentato da un 49% che pur specificando di conoscerne l’esistenza, comunque non le adotta. 

Manca la consapevolezza dell’impatto della tecnologia sull’ambiente

Inoltre, se da una parte le persone non usano il digitale come strumento di sostenibilità, dall’altra non si rendono conto di quanto davvero impatti sull’ambiente. Più della metà degli intervistati sostiene che l’impatto ambientale della digitalizzazione sia forte (61%), tuttavia sono solo il 13% coloro che riescono a quantificare correttamente il consumo effettivo di un’ora a settimana di streaming video, ovvero, pari a quello di due frigoriferi collegati 24h. Insomma, non solo non sfruttiamo appieno la tecnologia digitale come risorsa per lo sviluppo sostenibile, ma non ci rendiamo nemmeno pienamente conto di quale sia il suo reale impatto ambientale.

Il mercato immobiliare tiene, ma la qualità energetica non migliora

Nonostante la pandemia, nel 2020 l’introduzione del nuovo regime di incentivi fiscali per gli interventi di efficienza energetica e antisismici degli edifici e del Superbonus al 110% hanno contribuito alla tenuta generale del mercato immobiliare italiano. Un risultato positivo, purtroppo non bilanciato dai dati relativi al miglioramento della qualità energetica degli edifici. È quanto emerge dall’analisi sul monitoraggio delle dinamiche del mercato immobiliare in funzione delle caratteristiche energetiche degli edifici, frutto della collaborazione tra l’ENEA, l’Istituto per la Competitività (I-Com) e la Federazione Italiana degli Agenti Immobiliari Professionisti (FIAIP).

Efficienza energetica, un dato largamente insoddisfacente

“La tenuta del mercato immobiliare anche rispetto alla dimensione dell’efficienza energetica è un dato molto positivo se si considera che il 2020 è stato un anno particolare, segnato da consistenti arretramenti di molti indicatori economici e di benessere sociale causati alla pandemia – sottolinea Franco D’Amore, vicepresidente I-Com -. Se però guardiamo agli obiettivi per l’efficienza energetica al 2030 e ancor di più, alla prospettiva della decarbonizzazione del parco immobiliare al 2050, il dato è largamente insoddisfacente”.

La compravendita maggiore è ancora per gli immobili di classe G 

L’indagine evidenzia come la percentuale di immobili appartenenti alla classe energetica G risulti ancora la maggiore nel corso del 2020, nel quale però non si è ancora vista un’accelerazione della qualità energetica in linea con le prospettive indicate dall’Unione europea. Per il comparto del nuovo e del ristrutturato si assiste invece a un sostanziale consolidamento dei dati rispetto al 2019, mentre raggiunge quasi un valore di saturazione la percentuale degli immobili compravenduti nuovi nelle classi energetiche A1-4 e B, pari all’80%. La dimostrazione che gli obblighi di legge sugli standard minimi hanno inciso notevolmente sui trend di mercato per questa tipologia di immobili. Quanto ai dati relativi alla percentuale di edifici e alle classi energetiche maggiormente ricercate, quattro classi in termini di performance energetiche (G-D) coprono una percentuale che va dall’85% dei monolocali al 74% delle villette a schiera. In particolare, le villette a schiera crescono di 6 punti percentuali rispetto al 2019.

Il 2021 potrebbe rappresentare l’anno di svolta

Dal report risulta invece leggermente in calo il dato relativo agli immobili di migliore qualità energetica sottoposti a ristrutturazione e immessi sul mercato, che passa dal 36% del 2019 al 30% del 2020. La ristrutturazione rappresenta quindi un’importante finestra di opportunità per incidere sulla qualità energetica degli edifici, anche alla luce dell’impatto delle misure del Superbonus 110%. La speranza è quindi che il 2021 possa rappresentare l’anno di svolta. “Qualificazione della domanda immobiliare, effetti delle misure del Superbonus 110% ed entrata a pieno regime delle norme sugli edifici a emissione quasi zero – sottolinea D’Amore – potrebbero essere l’innesco di un salto radicale nelle dinamiche del mercato immobiliare rispetto al tema dell’efficienza energetica”.

I complementi d’arredo importanti per la tua casa

Quando hai arredato casa e pensi di aver completato ogni aspetto, arriva il momento in cui ti accorgi che in realtà manca qualcosa e che ci sono piccoli elementi che ricoprono un ruolo molto importante per completare gli arredi di ogni stanza. Vediamo insieme quali.

I cuscini, un accessorio che evidenzia la tua personalità

Quando si tratta di idee per un soggiorno moderno c’è un accessorio che garantisce comodità ed un impatto visivo, stiamo parlando dei cuscini.  Questi fanno la differenza in ogni spazio, abbinandosi facilmente ad altri elementi e regalando una sensazione di cura e benessere.

Il colore da scegliere dipende dal concept degli arredi, e variano dai toni pastello alle stampe fino a quelli più eleganti in bianco e nero. Di sicuro il loro stile è senza tempo poiché i cuscini non passano mai di moda.

Decorare uno spazio o rinnovarlo è un compito assai difficile dunque, ma ci sono complementi che sono in grado di aiutarci e sicuramente i cuscini decorativi sono tra questi. Possiamo pensare a diversi tipi di cusciti da abbinare allo stile degli arredi, trame, forme e una gamma infinita di colori.

Tappeti come elemento strutturale

Combina le nuove tendenze di arredo con elementi di lusso come i migliori tappeti, ideali per mettere in risalto i diversi tessuti presenti nel tuo living e dare maggiore sensazione di calore. Un tappeto cambia l’impatto visivo della stanza (anche la più semplice) e la trasforma in un luogo di lusso ed elegante. Un buon tappeto riesce inoltre ad abbassare i toni fornendo una sensazione di delicatezza.

Lampade

Le lampade sono un elemento fondamentale per proiettare calore e sensazione di benessere nella tua casa. Alcuni modelli di lampade artistiche sono particolarmente eleganti ed in grado di infondere eleganza e ricercatezza ad ogni ambiente, grazie anche ai particolari giochi di luci ed ombre che è possibile creare posizionandole nei punti giusti.

Non hai che l’imbarazzo della scelta dunque, per completare l’arredamento di casa con complementi eleganti e realmente in grado di apportare valore ad ogni tipo di ambiente.

Nell’anno del Covid il conto è salato per le imprese italiane

Il 2020 si è chiuso con un numero di nuove imprese decisamente più basso rispetto a quello del 2019, il 17%in meno, pari a -30 mila nuove iscrizioni. Lo stesso però è avvenuto con riferimento alle cessazioni di impresa (-16%), e tale fenomeno di “congelamento” delle chiusure, piuttosto omogeneo sul territorio italiano, riflette lo stato di profonda incertezza nel quale versano gli operatori economici. I ristori tengono in vita imprese oramai di fatto “inattive”, stimate in almeno 175.000, di cui 150.000 solo nel terziario, e si teme una forte contrazione del tessuto imprenditoriale nel 2021. In pratica, oggi chiudere un’impresa presenta costi a tratti insostenibili. Si tratta di alcuni risultati che emergono dall’Osservatorio Congiunturale Format Research, realizzato da Format Research nel mese di febbraio 2021.

Imprese del commercio in agonia: -13.130 rispetto al 2019

Malgrado il contesto complessivo di apparente stallo, il commercio fa registrare già 13.130 imprese attive in meno rispetto al 2019, segno dell’agonia alla quale le imprese del settore sono soggette da un anno. E se le misure adottate a contrasto della pandemia hanno coinvolto fortemente il tessuto imprenditoriale in Italia il prolungato periodo di chiusura ha annientato la ripresa della fiducia registrata in estate, e l’ottimismo delle imprese da qui al 30 giugno 2021 risulta solo moderato. La situazione si conferma decisamente più preoccupante presso gli operatori del terziario, che fa registrare un indicatore dei ricavi di 9 punti inferiore rispetto a quello dell’industria.

Calo dei ricavi più intenso nel Mezzogiorno

Le limitazioni alle attività disposte nell’ultima parte del 2020 hanno infatti contribuito negativamente al trend dell’indicatore dei ricavi, in particolar modo per specifici settori di attività economica, tutti riconducibili al comparto del terziario. Ricezione turistica (-67%), ristorazione (-62%) e commercio al dettaglio non alimentare (-43%) sono i settori per i quali si stimano le perdite più forti rispetto al 2019. Il calo dei ricavi è più intenso presso le imprese operative nel Mezzogiorno, dove la variazione rispetto al 2019 è pari a -38%, e lo scenario dal punto di vista del mercato del lavoro è preoccupante.

Occupazione: le previsioni degli imprenditori sono critiche

L’introduzione di ammortizzatori a difesa del lavoro ha solo in parte limitato l’impatto della crisi sull’occupazione in Italia, e le previsioni degli imprenditori sono critiche da qui al 30 giugno 2021. I dati ufficiali circa gli effetti della pandemia sull’occupazione confermano il trend negativo: nei primi nove mesi del 2020 sono state 1,9 milioni le assunzioni in meno in Italia rispetto allo stesso periodo del 2019 (-34% in un anno).

Inoltre, la prossima sospensione del blocco dei licenziamenti rischia di ridurre significativamente gli organici delle imprese, stimati in un -14% sul totale delle imprese, e addirittura -18% presso il solo terziario.

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Italia zona bianca: più di 63mila senza connessione

Il problema delle zone bianche in Italia non è nuovo. Si tratta delle zone dove Internet non arriva, ma la soluzione non è semplice perché in questi territori le compagnie di telecomunicazione spesso non hanno interesse a investire, in quanto sarebbe difficile rientrare delle spese. Si tratta infatti di zone di difficile accesso o scarsamente popolate, dove le tecnologie per banda larga non sono state installate. Di fatto, più di 63mila italiani abitano in zone definite bianche, costrette quindi a restare senza connessione. Per 16mila di loro poi si tratta anche di restare senza campo con il cellulare.

Nel 2020 una famiglia su tre non ha accesso a Internet né dispone di device

Sono i dati forniti da uno studio del ministero dell’Innovazione e l’Agcom, secondo cui nel 2020 una famiglia su tre non aveva accesso a internet né a device per poter lavorare in smart working o permettere ai figli di seguire la didattica a distanza. Secondo l’ottava edizione del Rapporto sul benessere equo e sostenibile pubblicato dall’Istat, a non disporre di connessione a Internet e pc sono il 12,6% delle famiglie in cui è presente almeno un minore, e il 70% delle famiglie composte da soli anziani. Ad aumentare, riporta Affaritaliani, è anche lo svantaggio delle famiglie del Mezzogiorno: nel 2020 il gap rispetto alle famiglie del Nord è di 10 punti percentuali, 3 in più rispetto al 2010.

Le categorie svantaggiate usano lo smartphone

Nel corso degli ultimi anni i cellulari e gli smartphone si sono sempre più connotati come fattori di traino nell’accesso al web, e in molti casi rappresentano l’unica modalità, soprattutto tra quei segmenti di popolazione che sono caratterizzati anche da un minor utilizzo di Internet: per oltre la metà delle persone con basso titolo di studio e per una quota consistente dei residenti nel Mezzogiorno l’accesso a internet avviene esclusivamente attraverso lo smartphone. Tuttavia questa tipologia di dispositivo se da un lato può agevolare una diffusione ampia dell’accesso alla rete e uno svolgimento agevole di alcune attività, dall’altro non garantisce di per sé lo sviluppo di competenze digitali più complesse.

Il divario tecnologico I dati sulla disponibilità in famiglia di almeno un computer (inclusi i tablet) e della connessione a internet consentono di monitorare le situazioni di esclusione o difficoltà per la piena fruizione delle opportunità offerte dal digitale. Nel 2020, in Italia, il 66,7% delle famiglie dispone di un accesso a Internet e di almeno un computer. Rispetto al 2019 si registra un aumento del 1,6%, dovuto esclusivamente all’incremento delle famiglie che dispongono di un accesso a Internet, che passano dal 76,1% al 79,6%. mentre non si osservano variazioni significative per quanto riguarda la disponibilità di un pc. Si conferma poi un generale vantaggio delle regioni del centro e del nord Italia, mentre l’impatto del livello di istruzione dei componenti della famiglia sulle dotazioni e l’utilizzo delle Ict è molto forte, così come la presenza di almeno un minore in famiglia

Il lockdown ha fatto bene all’ambiente: gas serra giù del 9,8%

Tra i tanti problemi provocati dalla pandemia di Covid-19 e dai conseguenti periodi di lockdown c’è anche un aspetto positivo, e riguarda la salute del nostro pianeta. A voler essere ottimisti – e soprattutto a voler vedere il bicchiere mezzo pieno  – per il 2020 è previsto un taglio del 9,8% di gas serra a livello nazionale rispetto al 2019. Il dato relativo alla salubrità dell’atmosfera arriva dall’Ispra, l’Istituto per la protezione e la ricerca ambientale, che ha infatti stimato “una consistente riduzione delle emissioni di gas serra a livello nazionale”.

Consistente riduzione di emissioni

“Sulla base dei dati disponibili per il 2020, si stima una consistente riduzione delle emissioni di gas serra a livello nazionale, prevalentemente a causa delle restrizioni dovute al Covid-19” spiega infatti l’Istituto in una nota. “Anche se si è ancora in attesa di avere tutte le informazioni necessarie per una stima definitiva, nello scorso anno le emissioni nel nostro Paese sono state inferiori del 9,8% rispetto al 2019 a fronte di una riduzione prevista del Pil pari all’8,9%”. Insomma, le difficoltà vissute dal nostro Paese hanno avuto almeno un riverbero positivo sotto il profilo ambientale.

Quali sono stati i “risparmi” maggiori?

Ma la riduzione di emissione a cosa, o meglio a chi è dovuta? Risponde sempre l’Ispira, precisando che “l’andamento stimato è dovuto alla riduzione delle emissioni per la produzione di energia elettrica” con un “meno 12,6%”. Ma anche “per la minore domanda di energia”, e per “la riduzione dei consumi energetici anche negli altri settori” come nell’industria con un “meno 9,9%”, nei trasporti con un “meno 16,8%” a causa della riduzione del traffico privato nelle città, e per il riscaldamento con un “meno 5,8%” per via della chiusura parziale o totale degli edifici pubblici e delle attività commerciali. Meno attività, quindi meno consumi e conseguentemente meno emissioni.

Ambiente ed economia sembrano muoversi su binari differenti

C’è un’ultima annotazione dell’Istituto che risulta particolarmente interessante.I dati ufficiali definitivi dell’Ispra per il 2019 mostrano “una diminuzione delle emissioni di gas serra rispetto al 2018 del 2,4%, mentre nello stesso periodo si è registrato una crescita del Pil pari allo 0,3%”. Confrontando questo elemento con la stima di riduzione delle emissioni per il 2020 e il Pil – spiega l’Istituto – “si conferma, in linea generale, il disaccoppiamento tra l’andamento delle emissioni e la tendenza dell’indice economico”.

Incertezza su futuro e salute: meno spese, più strumenti finanziari e assicurativi

L’attuale clima di insicurezza rende le famiglie italiane dubbiose sui progetti futuri e la pianificazione delle spese per il 2021. Nell’ultimo semestre del 2020 il 43% delle famiglie italiane non è riuscita a risparmiare, e se per il 24% questa è una situazione nuova, il restante 19% definisce la difficoltà strutturale, che non dipende cioè solo dalla crisi sanitaria. Allo stesso tempo, l’incertezza sul futuro e sulla salute spingono il ricorso a strumenti finanziari e assicurativi. Secondo i dati dell’Osservatorio The World After Lockdown di Nomisma e CRIF, il 14% degli attuali user ha infatti intenzione di aumentare la spesa per investimenti in fondi pensione, e il 17% per polizze sanitarie integrative.

Chi è riuscito a risparmiare lo ha fatto non senza difficoltà

I dati di Nomisma e CRIF parlano chiaro: chi è riuscito a risparmiare (57%) lo ha fatto non senza difficoltà, spesso facendo fronte a stento ad alcune voci di spesa o rimandando alcune spese. Tra le spese affrontate a fatica ci sono le utenze: un quarto degli italiani negli ultimi sei mesi ha avuto difficoltà a far fronte ai pagamenti delle bollette, così come del canone di affitto, e il rimborso delle rate di mutui e finanziamenti. Se 4 italiani maggiorenni su 10 hanno un contratto di finanziamento in corso, di questi, il 20% dichiara di aver rimborsato le ultime rate dell’anno con una certa difficoltà. Per tale ragione, molti hanno dovuto rivedere le proprie posizioni, ad esempio beneficiando della moratoria per la sospensione del rimborso delle rate.

Nasce l’esigenza di proteggersi e tutelarsi

Tale scenario di incertezza ha fatto nascere però l’esigenza di proteggersi e tutelarsi maggiormente: il 5% degli italiani dichiara di avere intenzione di incrementare, rispetto a prima dell’arrivo dell’emergenza sanitaria, il ricorso a strumenti finanziari, come la sottoscrizione di polizze assicurative. La previsione che vede ampliarsi il ricorso a servizi banking o insurance sembra legata alla maggiore attenzione per la tutela del proprio futuro e della propria salute: il 14% ha intenzione di aumentare la spesa per investimenti in fondi pensione e il 17% per polizze sanitarie integrative.

Nel 2021 si continuerà a ridurre o rimandare le spese Non conoscendo i tempi per un pieno ritorno alla normalità, per gestire meglio questa fase di incertezza gli italiani si dichiarano pronti a comprimere o addirittura a rinunciare a molte delle spese non strettamente necessarie. Il 36% degli intervistati quest’anno prevede infatti di risparmiare sui consumi fuori casa, il 36% anche sui trasporti pubblici e il 35% su viaggi e vacanze.  Ma i cittadini sembrano orientati a privarsi anche di alcuni momenti di relax, ad esempio riducendo lo shopping per abbigliamento e scarpe (29%), o stringendo la cinghia anche sui servizi alla persona, come estetista e parrucchiere (23%) o baby-sitter (5%). E sarà così anche le spese per casa e auto: il 15% delle famiglie prevede di spendere di meno per la manutenzione della propria abitazione e il 24% per l’auto