Rottamazione-ter, più possibilità per chiudere la partita col fisco

Chi vuole chiudere la partita con il fisco per le cartelle dal 2000 al 2017 ha nuove possibilità. Il cosiddetto Decreto semplificazioni, il decreto legge 135/2018, amplia infatti le possibilità ai contribuenti che vogliano aderire alla definizione agevolata per il periodo in questione, con novità anche per le domande di adesione al Saldo e stralcio. In particolare, ricorda Fisco Oggi, la rivista telematica dell’Agenzia delle Entrate, “con la legge 12/2019 – di conversione del Dl – rientrano nella ‘rottamazione-ter’ anche i contribuenti che non sono in regola con i pagamenti della ‘rottamazione-bis’, ovvero coloro che non avevano saldato le prime rate in scadenza entro il 7 dicembre scorso”.

L’Agenzia ha adeguato alle novità normative i modelli di adesione

Questi contribuenti potranno quindi usufruire dei benefici della rottamazione-ter, nella quale rientreranno anche tutte le domande di adesione al Saldo e stralcio, che per mancanza dei requisiti non potranno rientrare nel provvedimento. L’Agenzia, si legge ancora su Fisco Oggi, “ha adeguato alle novità normative i modelli di adesione che sono già disponibili sul sito internet e agli sportelli dell’ente (modelli DA-2018 e SA-ST)”. Presentando il modello, è possibile “l’accesso alla cosiddetta ‘rottamazione-ter’ anche per i contribuenti che non hanno provveduto al pagamento, previsto entro il 7 dicembre 2018, delle rate della rottamazione-bis (Dl 148/2017) scadute nei mesi di luglio, settembre e ottobre 2018”.

Versare l’importo a rate o in un’unica soluzione entro il 31 luglio 2019

Per tali debiti “l’importo dovuto potrà essere suddiviso fino a un massimo di 10 rate di pari importo con scadenza 31 luglio e 30 novembre 2019 e, poi, per i due anni a seguire, 2020 e 2021, febbraio, maggio, luglio e novembre. Mentre è prevista anche la possibilità di versare le somme dovute a titolo di definizione agevolata in un’unica soluzione entro il 31 luglio 2019”.

Ma ci sono cambiamenti anche per chi aderirà al Saldo e stralcio (definizione agevolata dei debiti a favore delle persone fisiche che si trovano in una situazione di grave e comprovata difficoltà economica, ovvero con Isee inferiore a 20mila euro),

Aderire alla ‘ter’ compilando e inviando le richieste online

“Nel caso di inammissibilità della domanda per il ‘Saldo e stralcio’ – ricorda Fisco Oggi – anche le cartelle non in regola con i pagamenti del 7 dicembre rientrano automaticamente nell’ambito della ‘rottamazione-ter’ con ripartizione del debito in 9 rate”. Un’altra novità, riporta Adnkronos, riguarda “l’allineamento delle scadenze della definizione agevolata 2018 per le risorse Ue e per l’imposta sul valore aggiunto riscossa all’importazione a quelle della ‘rottamazione-ter’ (18 rate in 5 anni)”.

I contribuenti che intendono aderire alla ‘ter’ possono compilare e inviare le richieste direttamente online dal sito di Agenzia delle Entrate-Riscossione con il servizio Fai D.A. te, disponibile sia in area pubblica, senza pin e password, ma allegando il proprio documento di identità, sia nell’area riservata per chi accede utilizzando Spid o le proprie credenziali.

A 10 anni dall’inizio della crisi l’Italia non recupera

Dal 2007, l’ultimo anno prima dello scoppio della crisi globale, l’Italia deve ancora recuperare 4,2 punti percentuali di Pil e 19,2 punti di investimenti. A più di 10 anni dall’inizio della crisi poi i consumi delle famiglie sono inferiori di 1,9 punti, e il loro reddito disponibile è in calo di 6,8%. In materia di lavoro, inoltre, l’occupazione è aumentata dell’1,7%, mentre il tasso di disoccupazione è cresciuto dell’84,4%. Se, infatti, nel 2007 il tasso di coloro che era alla ricerca di un’occupazione si attestava al 6,1% nel 2018 è salito al 10,5%. È quanto emerge da una analisi dell’Ufficio Studi della Cgia di Mestre, che segnala però la tenuta dell’export: a distanza di un decennio le vendite all’estero sono cresciute del 13,9%.

Crollo degli investimenti, diminuzione dei consumi e disoccupazione

Alla base del calo del Pil, spiega la Cgia, ci sono soprattutto il crollo degli investimenti pubblici e privati e la diminuzione dei consumi delle famiglie, che costituiscono il 60% circa dell’intera ricchezza prodotta dal Paese ogni anno. Un trend sul quale ha pesato l’aumento dei disoccupati, riferisce Adnkronos, ed è compensato solo in piccola parte dall’aumento dell’occupazione. Nel 2018 il numero degli occupati presenti in Italia (23,3 milioni) ha superato il livello del 2007 (22,9 milioni). Tuttavia, è crollato il numero delle ore lavorate sceso a 43,2 miliardi (-6,1%, che in termini assoluti equivalgono a -2,7 miliardi di ore). Inoltre, nonostante si sia superato il numero del 2007, sono cresciuti in misura rilevante i lavoratori dipendenti con contratti a termine (+22,4 per cento rispetto al 2007), ovvero un aumento netto dei precari.

Difficile fare previsioni a breve termine

Quanto all’immediato futuro, la Cgia di Mestre ammette come diversi elementi (il rallentamento dell’economia mondiale, la Brexit e la fine del Quantitative easing) rendano estremamente difficile prevedere come andrà l’economia italiana. L’associazione prevede per l’anno in corso una crescita dello 0,8%, grazie, in particolar modo, all’incremento dell’1,9% degli investimenti e la crescita del +1,1% dei consumi delle famiglie, che dovrebbero far scendere la disoccupazione dello 0,2% e aumentare gli occupati dello 0,4%. Non è da escludere, inoltre, il varo di una manovra correttiva già prima dell’estate.

“Siamo meno ricchi, spendiamo meno e abbiamo più disoccupati”

Come sottolinea il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo “sebbene negli ultimi 5 anni il Pil sia tornato a crescere, rispetto l’anno pre-crisi siamo meno ricchi, sono franati gli investimenti, spendiamo meno e abbiamo più disoccupati. L’unica cosa veramente positiva è che il nostro made in Italy vola, e continua a conquistare i mercati stranieri. Stando alle previsioni di crescita che nel triennio saranno ben al di sotto dell’1% annuo, molto probabilmente il nostro Paese recupererà i 4 punti di Pil persi dal 2007 non prima del 2024: praticamente 17 anni dopo”.

Calo delle nascite: i neonatologi lanciano l’allarme

Più morti che nuovi nati. A 464.000 nati in Italia nel 2017 corrispondono 647.000 decessi. Questo è il quadro delineato dall’Istat, e i neonatologi italiani lanciano l’allarme. “In Italia nascono sempre meno bambini, un numero nettamente inferiore rispetto ai decessi, meno anche rispetto agli anni della prima e seconda Guerra Mondiale. Perdiamo ogni anno circa 180.000 persone, è come se città come Modena o Reggio Calabria fossero azzerate”. Lo afferma il presidente della Società Italiana di Neonatologia (SIN) Fabio Mosca, in occasione del Convegno Indagine Famiglie 2.0 che ha avuto luogo a Roma, in Città del Vaticano.

Un paese che invecchia

“L’Italia è tra i paesi che fanno meno figli al mondo – continua Mosca -. L’indice di fecondità, il numero di figli per donna in età fertile, è 1,34, siamo con la Spagna il fanalino di coda in Europa”. Sulla base dei trend attuali, secondo le ultime previsioni Eurostat, nel 2050 nasceranno appena 375 mila bambini, e il rischio è che la famiglia italiana verrà completamente ridefinita. Tre quinti dei nostri bambini non avrà infatti fratelli, cugini, zie e zii, ma solo genitori, nonni e bisnonni. “Stiamo diventando un Paese con prevalenza della popolazione anziana: già oggi per 161 persone di età maggiore di 64 anni – aggiunge Mosca – ci sono solo 100 bambini di età inferiore a 15 anni. Di questo passo il welfare diventerà insostenibile, già oggi il rapporto tra la popolazione in età inattiva su quella attiva è del 55%”.

Come invertire la tendenza?

Bisogna invertire quindi questa tendenza. Ma come incentivare la natalità? Per poterlo fare occorre ricostruire un tessuto sociale e introdurre più facilitazioni per le famiglie, che in Italia oggi non risultano sufficienti. “Non è un caso che nelle regioni del Sud ormai da più di 10 anni la natalità sia più bassa che al nord”, sottolinea Mosca.

Il problema però non è solo economico, ma anche culturale. In Italia il figlio è visto “come un vincolo, un limite alla libertà, all’autonomia e all’affermazione personale, il nuovo stile di vita è individuale, ‘child free’ – spiega ancora Mosca. -. Ma una società senza figli è una società senza futuro”.

“Migliorare le politiche per la conciliazione tra casa e lavoro”

Non basta quindi ridare autonomia ai giovani e renderli indipendenti: per togliere incertezza e precarietà è necessario creare le condizioni per favorire decisioni familiari riproduttive. È opportuno “migliorare le politiche per la conciliazione tra casa e lavoro, rendendo l’organizzazione più adatta alle madri lavoratrici e offrendo asili e servizi numericamente ed economicamente adeguati – puntualizza Mosca -. È ormai non più rimandabile adottare politiche che privilegino le donne, garantendo lavoro e stabilità, partendo dalla consapevolezza che oggi le donne che lavorano fanno più figli”.

Incidenti sul lavoro, meno infortuni ma più morti

Gli infortuni sui luoghi di lavoro sono fortunatamente in diminuzione ma, d’altro canto e purtroppo, sono aumentate le morti sul lavoro. La mappa di queste tragedie è il frutto di un lavoro di raccolta dati dell’Inail. Tra gennaio e settembre 20178, infatti, sono state presentate all’Istituto 469.008 denunce di infortunio sul lavoro (-0,5% rispetto allo stesso periodo del 2017), 834 delle quali con esito mortale (+8,5%). Le patologie di origine professionale denunciate sono state 44.083 (+1,8%).

L’effetto del crollo del ponte Morandi

Come riporta una nota diffusa da Askanews, le denunce di infortunio sul lavoro con esito mortale presentate all’Istituto nei primi nove mesi di quest’anno sono state 834,65 in più rispetto alle 769 denunciate nel 2017 tra gennaio e settembre (+8,5%). L’aumento è dovuto soprattutto all’elevato numero di decessi avvenuti lo scorso mese di agosto rispetto all’agosto 2017 (109 contro 65). Diversi di questi sono stati causati da quelli che vengono definiti “incidenti plurimi”, cioè quegli incidenti che provocano contemporaneamente la morte di due o più lavoratori. Nel solo mese di agosto, infatti, si è contato lo stesso numero di vittime (36) in incidenti plurimi dell’intero periodo gennaio-settembre 2017. Tra gli eventi responsabili di questo tragico “bollettino”, quest’anno si registrano in particolare modo il crollo del ponte Morandi a Genova e gli incidenti stradali avvenuti a Lesina e a Foggia, in cui hanno perso la vita numerosi braccianti. Allargando l’analisi dei dati ai primi nove mesi, nel 2018 tra gennaio e settembre si sono verificati in totale 18 incidenti plurimi che sono costati la vita a 66 lavoratori, rispetto ai 12 incidenti plurimi del 2017, che hanno causato 36 morti.

Più incidenti nel Nord Italia e nel settore Industria

In base ai dati Inail rilevati al 30 settembre, appare evidente a livello nazionale un incremento sia dei casi avvenuti in occasione di lavoro, che sono passati da 551 a 581 (+5,4%), sia di quelli occorsi in itinere, in aumento del 16,1% (da 218 a 253). Nei primi nove mesi di quest’anno si è registrato un incremento di 67 casi mortali (da 648 a 715) nella gestione Industria e servizi e di cinque casi in Agricoltura (da 100 a 105), a fronte di un decremento di sette casi nel Conto Stato (da 21 a 14).

L’analisi territoriale evidenzia un incremento di 40 casi mortali nel Nord-Ovest (da 183 a 223), di 15 nel Nord-Est (da 196 a 211) e di 14 al Sud (da 165 a 179). Leggeri cali si rilevano al Centro (da 158 a 156) e nelle Isole (da 67 a 65). Ci sono differenze anche a livello regionale: 20 casi in più del Veneto (da 70 a 90) e 19 in più in Lombardia (da 94 a 113). Decremento netto invece in Abruzzo (da 38 a 22) e nelle Marche (da 28 a 15).

Tra le vittime più uomini che donne

L’aumento rilevato nel confronto tra i primi nove mesi del 2017 e del 2018 è legato prevalentemente alla componente maschile, i cui casi mortali denunciati sono stati 64 in più (da 696 a 760), mentre quella femminile ha registrato un decesso in più (da 73 a 74). L’incremento ha interessato sia le denunce dei lavoratori italiani (da 649 a 698), sia quelle dei lavoratori extracomunitari (da 84 a 97) e comunitari (da 36 a 39).

Nuova maturità in arrivo. Cosa cambia?

Da quest’anno scolastico entra in vigore la nuova maturità. L’Esame di Stato conclusivo della scuola secondaria di II grado subisce infatti alcune modifiche, e una circolare inviata alle scuole dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca fornisce un quadro preciso a docenti e studenti. Tra le novità, due prove scritte al posto di tre, più la prova orale. E più attenzione al percorso svolto dai ragazzi nell’ultimo triennio, con un punteggio maggiore assegnato al credito scolastico.

Nuovi requisiti per l’accesso all’esame

Quest’anno né la partecipazione durante l’ultimo anno di corso alla prova Nazionale Invalsi né lo svolgimento delle ore di Alternanza Scuola-Lavoro varranno come requisiti di accesso, riporta Adnkonos. Per poter essere ammessi alle prove bisognerà aver frequentato almeno i tre quarti del monte ore previsto, avere il 6 in ciascuna disciplina, avere la sufficienza nel comportamento. Il Consiglio di classe potrà deliberare l’ammissione anche con una insufficienza in una disciplina, o gruppo di discipline valutate con un unico voto, ma dovrà motivare la propria scelta.

Più peso al percorso di studi nella valutazione finale

Il voto finale continuerà a essere espresso in centesimi, ma da quest’anno si darà più peso al percorso di studi. Il credito maturato nell’ultimo triennio varrà fino a 40 punti su 100, invece degli attuali 25. Alla commissione spettano poi fino a 60 punti, massimo 20 per ciascuna delle due prove scritte e 20 per il colloquio. Il punteggio minimo per superare l’esame resta fissato in 60 punti. La Commissione d’esame può motivatamente integrare il punteggio, fino a un massimo di 5 punti, ove il candidato abbia ottenuto un credito scolastico di almeno 30 punti e un risultato complessivo nelle prove di esame di almeno 50 punti.

Due prove scritte al posto di tre

Per la prima prova scritta (italiano), in programma il prossimo 19 giugno, i maturandi dovranno produrre un elaborato scegliendo tra 7 tracce riferite a 3 tipologie di prove in ambito artistico, letterario, filosofico, scientifico, storico, sociale, economico e tecnologico.

Per l’analisi del testo la novità principale riguarda il numero di tracce proposte: gli autori saranno due, anziché uno come accadeva fino ad ora. Questo per coprire ambiti cronologici, generi e forme testuali diversi, e potranno essere proposti testi letterari dall’Unità d’Italia a oggi. La seconda prova scritta del 20 giugno riguarderà invece una o più discipline caratterizzanti i percorsi di studio.

A gennaio saranno comunicate agli studenti le materie della seconda prova. A febbraio, con largo anticipo rispetto al passato, sarà pubblicata l’ordinanza relativa agli esami di Stato.

Come sopravvivere in ufficio quando tutti sono in vacanza

Se Facebook trabocca di foto di amici al mare, i colleghi sono partiti e la città è semideserta: rimanere al proprio posto dietro la scrivania può essere frustrante. In estate è difficile riuscire a mantenere la concentrazione al lavoro, soprattutto se il capo o i colleghi sono già partiti per le vacanze. Ma niente paura: a prestare soccorso a chi deve affrontare la permanenza in ufficio nei mesi più caldi c’è Hays Response, la divisione della societá di ricerca e selezione del personale dedicata ai profili junior.

Concedersi una work routine più leggera

Hays Response ha elaborato 5 consigli utili per chi deve lavorare durante i mesi estivi. Il primo è concedersi una work routine più leggera e organizzare le proprie giornate lavorative in modo più rilassato. Magari pianificando una to-do-list che includa solo le attività che devono essere portate a termine entro la giornata, e concedendosi pause di relax tra un compito e l’altro.

Anche organizzare una pausa pranzo diversa dal solito. (2) può essere utile. Anziché pranzare in ufficio meglio uscire a prendere una boccata d’aria, magari mangiando al parco, o scegliendo ristoranti che abbiano un dehors o una terrazza. Una pausa pranzo all’aperto migliora l’umore e aiuta ad affrontare il pomeriggio lavorativo.

Ricaricarsi durante il weekend

Se il proprio lavoro lo permette, è utile staccare la spina e rilassarsi durante il weekend (3) dimenticando gli impegni professionali. Se possibile, quindi, è bene spegnere il telefono aziendale, non controllare la posta elettronica ed evitare di portarsi a casa il lavoro nel fine settimana. Questo permetterà di rientrare il lunedì in ufficio con le batterie ricaricate e affrontare al meglio la settimana lavorativa.

Fare sport e adottare un abbigliamento più casual

Fare sport o meditazione prima di andare in ufficio (4) sarebbe certamente d’aiuto per arrivare al lavoro con una marcia in più. Una corsa o una nuotata al mattino, infatti, libera le endorfine e aiuta a ottenere un umore migliore.

Per i meno dinamici, può essere efficace anche la meditazione, utile per liberare la mente e ricaricarsi in vista di una nuova giornata in ufficio. Ma anche solo adottare un abbigliamento più casual (5) può essere utile. Pur mantenendo un dress code adatto al proprio ambiente lavorativo d’estate ci si può concedere un look più casual, senza cravatta per gli uomini e scarpe più comode per le donne.

Un abbigliamento confortevole ci fa sentire più a nostro a proprio agio. E ci fa affrontare meglio la calura estiva in città.

Fisco, non tornano i conti con la rottamazione delle cartelle

La Corte dei Conti lancia l’allarme sui conti della rottamazione delle cartelle fiscali. E non è un gioco di parole. Stando ai numeri rilevati, mancherebbero alle casse 9,6 miliardi di mancati versamenti all’Erario. Insomma, i conti pubblici si confermano “fragili”.

La relazione della magistratura contabile

La Relazione sul rendiconto generale dello Stato, condotta dalla magistratura contabile, parla di una”preoccupazione” per le condotte fiscali che si risolvono nel mancato versamento delle imposte evidenziate nelle dichiarazioni tributarie. Queste le affermazioni della Corte dei Conti, riprese dallAdnKronos: “A fronte di un ammontare lordo complessivo dei crediti rottamati di 31,3 miliardi, l’introito atteso per effetto della rottamazione” introdotta con le norme del 2016 “ammonta a 17,8 miliardi”. Di tale importo sono stati riscossi nei termini “solo 6,5 miliardi, comprensivi degli interessi per pagamento rateale. A tale somma introitata deve aggiungersi la parte rateizzata ancora da riscuotere pari a 1,7 miliardi comprensivi di interessi pertanto dei 17,8 mld previsti a seguito delle istanze di definizione pervenute, 9,6 miliardi non sono stati riscossi o costituiscono versamenti omessi”. Ancora, dalla finanza pubblica emergono “indicazioni positive, ma anche elementi critici connessi sia al quadro internazionale che a nuove fragilità sulle tendenze di medio-lungo termine dei nostri conti pubblici”.

I fattori di incertezza

La magistratura contabile evidenzia poi che “Numerosi si rivelano poi i fattori di incertezza”, quali gli affari internazionali, il protezionismo commerciale Usa e l’atteso esaurimento del Qe della Bce e, sul piano interno, l’insuccesso del rilancio degli investimenti pubblici e “la precarietà dell’assetto di un sistema fiscale che in quest’ultimo decennio di urgenze e di emergenze è stato sottoposto a stress continui che ne hanno offuscato i principi ispiratori”. E prosegue: “I più recenti indicatori sulla congiuntura internazionale è italiana riflettono un peggioramento del quadro generale. In particolare sembra da osservare con attenzione l’evidente flessione delle nostre esportazioni”.

Le scelte da adottare

Alla luce di queste considerazioni, la Corte dei Conti segnala che “si rafforza la necessità di effettuare scelte molto caute e interventi di politica economica selettivi”. Tra queste, l’efficienza della spesa. “L’orientamento verso una maggiore efficienza nella gestione delle risorse è reso urgente dal rischio che interventi di ulteriore compressione della spesa si traducano ormai in un progressivo scadimento della qualità dei servizi resi alla collettività”, avverte la Corte. E aggiunge: “è mediante interventi sulla qualità della spesa, oltre a quelli altrettanto importanti che mirano alla sua riduzione, che è possibile incidere concretamente sulla ripresa”.

Passione web per i musei italiani

Cresce la presenza e l’attività sul web e sui social dei musei italiani. Anche se il punto di partenza evidenzia un certo ritardo, la situazione in ambito digital delle istituzioni culturali italiane sta rapidamente cambiando, adattandosi a quello che succede nel resto d’Europa e del mondo. Ha fatto il punto sulla trasformazione dell’offerta museale tricolore la seconda edizione dell’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano e da poco presentato nella città lombarda.

Solo il 30% degli spazi museali offre servizi digitali in loco

I dati dell’ultimo Censimento ISTAT sui musei rivelano come, tra i quasi cinquemila presenti in Italia, solo il 30% offra oggi almeno un servizio digitale in loco (tra app, QR code, ma anche wifi e le più tradizionali audioguide) e almeno uno online (sito web, account social, biglietteria online). E la percentuale si riduce all’11% se si considerano le istituzioni culturali che offrono almeno due servizi insieme. Se per alcuni musei questo può essere il frutto di una precisa scelta strategica, in tanti casi si tratta di un problema di risorse economiche e di mancata consapevolezza dei costi e benefici che derivano dall’innovazione digitale.

Beni e Attività Culturali, segnali di miglioramento dal secondo Osservatorio Innovazione
I dati della seconda edizione dell’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali, relativi alla presenza online di circa 500 musei distribuiti in tutta Italia, evidenziano una leggera crescita del numero di istituzioni culturali con un sito web proprietario (43% rispetto al 42% dello scorso anno) e passi avanti sul fronte dei servizi messi a disposizione: la biglietteria online è presente nel 23% di questi (+3 %  rispetto allo scorso anno), il 67% ha in homepage icone per l’accesso facilitato alle pagine social (+4%) e il 55% consente l’accesso alla collezione virtuale (+3%).

Cresce la presenza sui canali non proprietari

A crescere con tasso più sostenuto è invece la presenza sui canali non proprietari: il 75% dei musei coinvolti nell’indagine è su Tripadvisor (+20% rispetto a fine 2016) ed è in aumento il numero di account ufficiali dei musei su tutti i maggiori canali social, in particolare su Instagram (la copertura è passata dal 15% all’attuale 23%). In contemporanea è anche cresciuto il numero di musei che hanno scelto di utilizzare Facebook, Twitter e Instagram (dal 13% al 18%), mentre la percentuale di musei senza un account social scende dal 46% al 43%.

Carte di credito, con la tecnologia diremo addio alla firma sulla ricevuta

La firma sulla ricevuta dopo i pagamenti effettuati con la carta di credito potrebbe presto diventare solo un ricordo. Si tratta di un’evoluzione dovuta in primo luogo alla tecnologia, che renderà obsoleta la firma a cui siamo tutti abituati. In effetti, in alcune aree del mondo tale procedura è già realtà. Questa novità è stata introdotta da poche settimane dai principali operatori, MasterCard, Visa e American Express, per ora solo nel Nord America. Ma il cambiamento in corso potrebbe coinvolgere a breve anche l’Italia.

Carte di credito, cosa cambia e cosa resta

Una delle prime realtà a mettere in atto i cambiamenti in merito all’utilizzo della carta di credito è stata American Express, che ha abolito l’obbligo di firma per le transazioni con carta per tutti i suoi utenti in ogni angolo del mondo, quindi anche per gli utilizzatori italiani. Però, se dal punto di vista tecnologica questa novità è già perfettamente attuabile, non è ancora detto che si potrà dire addio in maniera definitiva alla firma sulle carte di credito. Le questioni sul tavolo, infatti, sono diverse.

Sarà un’opzione facoltativa?

La possibilità di utilizzare la firma o meno sarà un’opzione per lo più facoltativa per i punti vendita. In ogni caso, l’utente finale non ha il diritto di rifiutarsi di firmare qualora il rivenditore lo richieda. In questo scenario è la tecnologia, e la sua evoluzione continua, a rivestire il ruolo principale: Visa ha già eliminato l’obbligo di firma per le transazioni tramite carte con chip, di ultima generazione, e per i pagamenti contactless. La tendenza all’abbandono dell’uso della firma è in corso da diverso tempo: secondo Visa, ad oggi oltre il 75% delle transazioni sulle sue carte in Nord America non richiede una firma a causa dell’esenzione prevista su valori limitati.

Pericolo frodi? Nuove tecnologie hi-tech mettono al riparo dalle truffe

Questa ondata di novità non deve però mettere in allarme: non ci sarà un numero maggiore di frodi o truffe. A tutelare la sicurezza dei capitali dei clienti intervengono ora delle nuove tecnologie, come chip, dati biometrici e altri metodi per verificare l’identità di chi esegue le transazioni. L’operazione delle grandi società di carte di credito e pagamenti si spiega, infine, con la volontà di alimentare il numero di transazioni compiute dai clienti, eliminando processi superflui e aumentando gli introiti per chi gestisce la rete. Insomma, l’addio alla firma si dovrebbe tradurre in minori costi, più praticità e sicurezza ugualmente tutelata.

Italia, a energia siamo messi male

Povera Italia, e soprattuto povera Italia… al freddo. Il nostro Paese, infatti, sta vivendo un momento di difficoltà energetica. Lo rivela l’Osservatorio Ue sulla povertà energetica, che segnala quanto lo Stivale sia messo maluccio rispetto alle altre nazioni del Vecchio Continente. Qualche dato per comprendere la gravità del fenomeno: dalle nostre parti, il 14,6% delle persone ha difficoltà a scaldare, il 9,1% ritarda nei pagamenti delle bollette, addirittura i morti in più in inverno toccano il 14% .

Luce e gas, un  problema per le famiglie

L’Italia è tra i Paesi europei dove le famiglie hanno più difficoltà a scaldare le proprie case e a pagare le bollette di luce e gas. E’ quanto emerge dai dati dell’Osservatorio Ue sulla povertà energetica, una nuova iniziativa che per la prima volta raccoglie online in modo aggregato e comparabile i dati di tutti i Paesi europei relativi ai diversi aspetti del problema. Per consolarci un po’, si può considerare che l’Italia non è all’ultimo posto in nessuno degli indicatori presi in esame, però il nostro paese si piazza comunque nella fascia medio-bassa della classifica europea. Ad esempio, dall’analisi emerge che il 14,6% delle famiglie italiane non riesce a mantenere la propria casa riscaldata in modo adeguato: peggio di noi, che siamo in 20a posizione, fanno solo altri 8 paesi Ue. Un altro numero significativo è che solo l’85,4% delle case è dotato di un riscaldamento sufficientemente efficiente a mantenere l’abitazione al caldo. D’altro canto, quasi la totalità delle casse del Belpaese (il 95,2%) è dotata di un sistema di riscaldamento.

Prezzi alti e troppa umidità

Sebbene da noi i prezzi dell’elettricità e del gas siano i terzi più cari dell’Ue insieme rispettivamente all’Irlanda (più cari solo in Danimarca e Germania), e alla Spagna (precedute da Svezia e Portogallo), è sempre in Italia che si riscontra un’altissima percentuale di abitazioni umide, con perdite e riparazioni da fare a tetti e infissi (23%, sesta su 28). Anche per queste problematiche, l’Italia ha un alto numero di decessi in eccesso rispetto alla media invernale (il 14%), posizionandosi in questa triste classifica al 7° posto.

“Nel 2018 problema inaccettabile”

“La povertà energetica è una questione che riguarda tutti i nostri stati membri, anche quelli più grandi e che stanno meglio” e questo “ancora nel 2018, è un problema inaccettabile” anche perché “riduce l’inclusione sociale e aumenta i problemi di salute”, ha detto il vicepresidente della Commissione Ue all’unione dell’energia Maros Sefcovic nel presentare l’Osservatorio.