Consumi alimentari e ambiente, vegani e vegetariani salveranno il pianeta?

Le sorti del pianeta dipendono da noi, e i consumi alimentari, così come tutto ciò che ruota attorno a essi, sono uno dei fattori che più impattano sull’ambiente. Aumentano quindi i segnali di attenzione verso la salute nostra e dell’ecosistema, e si afferma la consapevolezza nel valutare gli stili di vita anche in base alla loro ecosostenibilità. L’allevamento intensivo, ad esempio, è una delle principali fonti di inquinamento terrestre e determina importanti alterazioni del clima. Vegani vegetariani, e flexitariani, il movimento che applica una dieta che abbina alle proteine vegetali anche quelle animali, ma in percentuale molto ridotta, riusciranno a salvare il mondo?

Tutti i settori sono chiamati in causa

Secondo un’analisi di FutureBrand in Italia il numero di vegetariani e vegani è cresciuto del 7,3% rispetto al 2018. La domanda di piatti sani e sostenibili cresce, e i brand stanno già sperimentando prodotti e soluzioni per conquistare vegani, vegetariani e flexitariani.  A cambiare, però, non sono solo i consumi alimentari. Si impongono cambiamenti anche ad altri settori come, ad esempio, la moda. Orange Fiber, una startup italiana, produce tessuto ricavato dalla fibra delle arance di scarto, riporta Ansa. E in Thailandia alcuni supermercati hanno sostituito la plastica usata per confezionare i prodotti nel reparto ortofrutta con le foglie di banano. L’elenco di iniziative ecosostenibili è lungo e mostra come tutti i settori siano chiamati in causa.

Mangiare sano non è sufficiente

Ma tornando al settore alimentare basta la drastica diminuzione dei consumi di carne per salvare il pianeta? Per nulla. Mangiare sano non è sufficiente, anzi, può addirittura essere controproducente per l’ambiente. Usando il calcolatore sviluppato da BBC, si scopre quanto costa in termini di inquinamento addentare, per esempio, una mela. In termini di produzione di gas serra equivale a 51 km percorsi in auto in un anno, al riscaldamento per due giorni di un appartamento e ben 5.245 litri di acqua. L’attenzione è ancora interamente rivolta a equazioni tipo superfood uguale benefici per la salute, ma si omette di dire ad esempio, che le preziose bacche di Gojji per arrivare sulla nostra tavola hanno viaggiato dalla Cina e sono state imballate con materiale accoppiato non riciclabile.

I consumatori sono pronti a cambiare abitudini, ma i brand devono fare la loro parte

Servono quindi acquisti più consapevoli, e i brand devono fare la loro parte. Alcune risposte concrete arrivano dalla grande distribuzione, come in Francia, dove ha fatto scuola l’esperimento di Intermarché con la linea Moche, frutta e verdura buona ma salvata dalla pattumiera per sensibilizzare sullo spreco di cibo.  Secondo un’indagine dell’Osservatorio Giovani (Istituto Giuseppe Toniolo) l’80% degli intervistati si dichiara pronto a cambiare le proprie abitudini per contenere l’impatto dei cambiamenti climatici, ed è disponibile a ridurre al minimo gli sprechi alimentari. I giovani sono pronti a fare la loro parte, ma hanno bisogno di strumenti. Qualsiasi gesto pro-ecosistema, se ben comunicato, può produrre effetti positivi anche sul business. Oltre che su Madre Natura.