Gli errori fanno bene: come sbagliare e avere successo

Sbagliando si impara e solo chi non fa non sbaglia. Sono massime consolatorie e luoghi comuni, che però regalano un briciolo di speranza a chi colleziona fallimenti e sconfitte. D’altronde, la consolazione arriva anche dall’esempio di falliti celebri del passato, come Henry Ford, che fu cacciato dalle industrie automobilistiche prima di costruire la prima Ford, Steve Jobs, licenziato agli albori, o Albert Einstein, pessimo studente. Per realizzarsi, nella vita professionale quanto in amore, ci vuole una profonda riflessione dedicata ai passaggi che portano all’errore che, per sua natura, si ripeterà. Tanto che gli errori divengono parte di un “metodo scientifico e didattico” secondo cui sbagliare diventa il punto di forza per una filosofia di vita che punta… al successo.

Il fallimento positivo

L’errore non porta a un vicolo cieco se analizzato in profondità. Al contrario, conduce a una nuova strada. Insomma, ognuno di noi ha un piano che, sbagli inclusi, prima o poi funzionerà. Non bisogno quindi rinunciare, ma guardare “dentro” a questi errori. Ma come? Le chiavi del fallimento positivo sono il fulcro del libro Elogio del fallimento. Perché sbagliare fa bene (Sperling & Kupfer) di Francesca Corrado, economista, ricercatrice ed ex-fallita, che nel 2017 a Modena ha fondato la Scuola di Fallimento.

“Guardare ai propri fallimenti significa lavorare sulla propria consapevolezza, sui propri sogni e obiettivi per fare accadere ciò che si ritiene abbia valore – spiega Francesca Corrado -. Il metodo del fallimento punta a fare emergere le potenzialità delle persone, rafforzandole col tempo”.

Ingranaggi rotti che si possono riparare

Insomma, il fallimento è un feedback per ripensare a ciò che si vuole davvero. “L’errore fa tornare indietro – continua Corrado – rivivere i vari passaggi vissuti, in modo scientifico, e aiuta a proseguire con più tenacia”.

Si può scoprire, ad esempio, di commettere sempre gli stessi errori, basati su una nostra debolezza, o una svista. Semplici ingranaggi rotti che però si possono riparare, e lavorare sull’errore fa diminuire la probabilità di un’ennesima sconfitta futura.

Un piano A, uno B e un piano Z

Per non rinunciare ai propri sogni inoltre è bene disporre contemporaneamente di un piano A, un piano B, e uno Z, riporta Ansa. Se il primo è l’obiettivo da raggiungere il secondo non è un piano alternativo se il primo fallisce, ma lo stesso piano da seguire cambiando le strategie. E il piano Z? È un piano a breve termine, che ha lo scopo di far recuperare le forze e le idee per elaborare un nuovo piano A se i primi due dovessero risultare fallimentari.

Avere un piano Z, quindi, consente di convivere con l’incertezza dei primi due. La cultura (sana) del fallimento, insomma, è la strada vincente per realizzarsi.