Telefonia mobile, la spesa media in Italia è di 126 euro l’anno

Qual è la spesa media in Italia per la telefonia mobile? Risponde alla domanda, indicando come valore medio pro capite 126 euro l’anno, la ricerca che Facile.it ha commissionato agli istituti di ricerca mUp Research e Norstat, realizzata su un campione rappresentativo della popolazione nazionale. Analizzando più da vicino il campione emerge che il 17% dei rispondenti, pari a circa 5,1 milioni di italiani, spende decisamente meno, vale a dire 72 euro l’anno; solo per il 5% dei clienti il costo supera i 240 euro annui.

I giovani campioni di risparmio
Come evidenzia la ricerca, il prezzo medio varia a seconda della fascia anagrafica. La bolletta più pesante è quella dei 65-69enni (156 euro l’anno) e quella dei 70-74enni (138 euro l’anno). Chi spende meno, invece, sono i 25-34enni e i 35-44enni; in media, rispettivamente, 119 euro e 115 euro l’anno. Per quanto riguarda il traffico dati, emerge che gli italiani in media  possono contare su 41,7 GB al mese. E se, da un lato, l’11% del campione dispone di solo 5 o meno GB al mese, dall’altro ci sono 3,4 milioni di italiani che hanno offerte con traffico dati superiore ai 70 GB mensili. Nonostante un volume di dati mediamente importante, non sempre i GB a disposizione sono sufficienti. Infatti, il 20% dei rispondenti, pari a poco meno di 6 milioni di individui, ha detto di fare fatica ad arrivare a fine mese con la propria offerta, dovendo così centellinare l’uso dei dati, per evitare di finirli. 

Il primo telefonino a 12 anni 

L’indagine ha messo in luce come negli ultimi 20 anni, cioè da quando i telefonini sono diventati prodotti di massa, l’età in cui se ne entra in possesso sia continuamente calata. Se i quarantacinquenni di oggi – per forza di cose – hanno ricevuto il primo cellulare intorno ai 23-24 anni, i venticinquenni lo hanno avuto a 14 anni e i diciottenni addirittura a 12 anni. Facile immaginare che l’età media continuerà ad abbassarsi in futuro.

In media 1,3 telefonini a testa

L’amore degli italiani per gli smartphone è cosa nota e l’indagine realizzata per Facile.it da mUp Research e Norstat lo conferma: in media ogni italiano ha 1,3 telefoni cellulari a testa. Il che significa che la quasi totalità della popolazione è dotata di un dispositivo mobile e che ci sono addirittura 7,3 milioni di italiani che ne hanno 2. Ancora, ben 1,7 milioni che ne possiedono 3 o più. 

Nell’anno del Covid il conto è salato per le imprese italiane

Il 2020 si è chiuso con un numero di nuove imprese decisamente più basso rispetto a quello del 2019, il 17%in meno, pari a -30 mila nuove iscrizioni. Lo stesso però è avvenuto con riferimento alle cessazioni di impresa (-16%), e tale fenomeno di “congelamento” delle chiusure, piuttosto omogeneo sul territorio italiano, riflette lo stato di profonda incertezza nel quale versano gli operatori economici. I ristori tengono in vita imprese oramai di fatto “inattive”, stimate in almeno 175.000, di cui 150.000 solo nel terziario, e si teme una forte contrazione del tessuto imprenditoriale nel 2021. In pratica, oggi chiudere un’impresa presenta costi a tratti insostenibili. Si tratta di alcuni risultati che emergono dall’Osservatorio Congiunturale Format Research, realizzato da Format Research nel mese di febbraio 2021.

Imprese del commercio in agonia: -13.130 rispetto al 2019

Malgrado il contesto complessivo di apparente stallo, il commercio fa registrare già 13.130 imprese attive in meno rispetto al 2019, segno dell’agonia alla quale le imprese del settore sono soggette da un anno. E se le misure adottate a contrasto della pandemia hanno coinvolto fortemente il tessuto imprenditoriale in Italia il prolungato periodo di chiusura ha annientato la ripresa della fiducia registrata in estate, e l’ottimismo delle imprese da qui al 30 giugno 2021 risulta solo moderato. La situazione si conferma decisamente più preoccupante presso gli operatori del terziario, che fa registrare un indicatore dei ricavi di 9 punti inferiore rispetto a quello dell’industria.

Calo dei ricavi più intenso nel Mezzogiorno

Le limitazioni alle attività disposte nell’ultima parte del 2020 hanno infatti contribuito negativamente al trend dell’indicatore dei ricavi, in particolar modo per specifici settori di attività economica, tutti riconducibili al comparto del terziario. Ricezione turistica (-67%), ristorazione (-62%) e commercio al dettaglio non alimentare (-43%) sono i settori per i quali si stimano le perdite più forti rispetto al 2019. Il calo dei ricavi è più intenso presso le imprese operative nel Mezzogiorno, dove la variazione rispetto al 2019 è pari a -38%, e lo scenario dal punto di vista del mercato del lavoro è preoccupante.

Occupazione: le previsioni degli imprenditori sono critiche

L’introduzione di ammortizzatori a difesa del lavoro ha solo in parte limitato l’impatto della crisi sull’occupazione in Italia, e le previsioni degli imprenditori sono critiche da qui al 30 giugno 2021. I dati ufficiali circa gli effetti della pandemia sull’occupazione confermano il trend negativo: nei primi nove mesi del 2020 sono state 1,9 milioni le assunzioni in meno in Italia rispetto allo stesso periodo del 2019 (-34% in un anno).

Inoltre, la prossima sospensione del blocco dei licenziamenti rischia di ridurre significativamente gli organici delle imprese, stimati in un -14% sul totale delle imprese, e addirittura -18% presso il solo terziario.

Italia zona bianca: più di 63mila senza connessione

Il problema delle zone bianche in Italia non è nuovo. Si tratta delle zone dove Internet non arriva, ma la soluzione non è semplice perché in questi territori le compagnie di telecomunicazione spesso non hanno interesse a investire, in quanto sarebbe difficile rientrare delle spese. Si tratta infatti di zone di difficile accesso o scarsamente popolate, dove le tecnologie per banda larga non sono state installate. Di fatto, più di 63mila italiani abitano in zone definite bianche, costrette quindi a restare senza connessione. Per 16mila di loro poi si tratta anche di restare senza campo con il cellulare.

Nel 2020 una famiglia su tre non ha accesso a Internet né dispone di device

Sono i dati forniti da uno studio del ministero dell’Innovazione e l’Agcom, secondo cui nel 2020 una famiglia su tre non aveva accesso a internet né a device per poter lavorare in smart working o permettere ai figli di seguire la didattica a distanza. Secondo l’ottava edizione del Rapporto sul benessere equo e sostenibile pubblicato dall’Istat, a non disporre di connessione a Internet e pc sono il 12,6% delle famiglie in cui è presente almeno un minore, e il 70% delle famiglie composte da soli anziani. Ad aumentare, riporta Affaritaliani, è anche lo svantaggio delle famiglie del Mezzogiorno: nel 2020 il gap rispetto alle famiglie del Nord è di 10 punti percentuali, 3 in più rispetto al 2010.

Le categorie svantaggiate usano lo smartphone

Nel corso degli ultimi anni i cellulari e gli smartphone si sono sempre più connotati come fattori di traino nell’accesso al web, e in molti casi rappresentano l’unica modalità, soprattutto tra quei segmenti di popolazione che sono caratterizzati anche da un minor utilizzo di Internet: per oltre la metà delle persone con basso titolo di studio e per una quota consistente dei residenti nel Mezzogiorno l’accesso a internet avviene esclusivamente attraverso lo smartphone. Tuttavia questa tipologia di dispositivo se da un lato può agevolare una diffusione ampia dell’accesso alla rete e uno svolgimento agevole di alcune attività, dall’altro non garantisce di per sé lo sviluppo di competenze digitali più complesse.

Il divario tecnologico I dati sulla disponibilità in famiglia di almeno un computer (inclusi i tablet) e della connessione a internet consentono di monitorare le situazioni di esclusione o difficoltà per la piena fruizione delle opportunità offerte dal digitale. Nel 2020, in Italia, il 66,7% delle famiglie dispone di un accesso a Internet e di almeno un computer. Rispetto al 2019 si registra un aumento del 1,6%, dovuto esclusivamente all’incremento delle famiglie che dispongono di un accesso a Internet, che passano dal 76,1% al 79,6%. mentre non si osservano variazioni significative per quanto riguarda la disponibilità di un pc. Si conferma poi un generale vantaggio delle regioni del centro e del nord Italia, mentre l’impatto del livello di istruzione dei componenti della famiglia sulle dotazioni e l’utilizzo delle Ict è molto forte, così come la presenza di almeno un minore in famiglia

Il lockdown ha fatto bene all’ambiente: gas serra giù del 9,8%

Tra i tanti problemi provocati dalla pandemia di Covid-19 e dai conseguenti periodi di lockdown c’è anche un aspetto positivo, e riguarda la salute del nostro pianeta. A voler essere ottimisti – e soprattutto a voler vedere il bicchiere mezzo pieno  – per il 2020 è previsto un taglio del 9,8% di gas serra a livello nazionale rispetto al 2019. Il dato relativo alla salubrità dell’atmosfera arriva dall’Ispra, l’Istituto per la protezione e la ricerca ambientale, che ha infatti stimato “una consistente riduzione delle emissioni di gas serra a livello nazionale”.

Consistente riduzione di emissioni

“Sulla base dei dati disponibili per il 2020, si stima una consistente riduzione delle emissioni di gas serra a livello nazionale, prevalentemente a causa delle restrizioni dovute al Covid-19” spiega infatti l’Istituto in una nota. “Anche se si è ancora in attesa di avere tutte le informazioni necessarie per una stima definitiva, nello scorso anno le emissioni nel nostro Paese sono state inferiori del 9,8% rispetto al 2019 a fronte di una riduzione prevista del Pil pari all’8,9%”. Insomma, le difficoltà vissute dal nostro Paese hanno avuto almeno un riverbero positivo sotto il profilo ambientale.

Quali sono stati i “risparmi” maggiori?

Ma la riduzione di emissione a cosa, o meglio a chi è dovuta? Risponde sempre l’Ispira, precisando che “l’andamento stimato è dovuto alla riduzione delle emissioni per la produzione di energia elettrica” con un “meno 12,6%”. Ma anche “per la minore domanda di energia”, e per “la riduzione dei consumi energetici anche negli altri settori” come nell’industria con un “meno 9,9%”, nei trasporti con un “meno 16,8%” a causa della riduzione del traffico privato nelle città, e per il riscaldamento con un “meno 5,8%” per via della chiusura parziale o totale degli edifici pubblici e delle attività commerciali. Meno attività, quindi meno consumi e conseguentemente meno emissioni.

Ambiente ed economia sembrano muoversi su binari differenti

C’è un’ultima annotazione dell’Istituto che risulta particolarmente interessante.I dati ufficiali definitivi dell’Ispra per il 2019 mostrano “una diminuzione delle emissioni di gas serra rispetto al 2018 del 2,4%, mentre nello stesso periodo si è registrato una crescita del Pil pari allo 0,3%”. Confrontando questo elemento con la stima di riduzione delle emissioni per il 2020 e il Pil – spiega l’Istituto – “si conferma, in linea generale, il disaccoppiamento tra l’andamento delle emissioni e la tendenza dell’indice economico”.

Acquisire competitività con i laser industriali

Riuscire a rimanere competitivi sul mercato è l’obiettivo di tantissime aziende che desiderano continuare ad offrire i propri prodotti senza per questo dover partecipare alla guerra dei prezzi. In questo senso, la soluzione è decisamente quella di aumentare la qualità del prodotto finale. Il cliente chiaramente, a parità di prezzo, è naturalmente portato a scegliere per quella soluzione in grado di offrire un prodotto qualitativamente migliore.

Laser industriali e produttività

I laser industriali rappresentano ad oggi la risposta più efficace a quanti desiderano individuare delle risorse che consentano di aumentare il livello di qualità della propria produzione nonché la velocità della stessa. Si tratta infatti di uno strumento grazie al quale è possibile rispondere adeguatamente alle richieste di mercato, anche per quel che riguarda i tempi di produzione e consegna dei prodotti.

Laser industriali: quali sono i vantaggi?

Ci sono diversi vantaggi che i moderni laser industriali presentano rispetto i metodi tradizionali o i laser di vecchia generazione. Uno dei più importanti è rappresentato dalla grande pecisione di taglio,altrimenti impossibile da ottenere con qualsiasi altro tipo di laser o strumento esistente in commercio. Grazie ai moderni laser industriali è possibile anche andare ad effettuare dei tagli particolarmente complessi in maniera molto rapida e precisa, come ad esempio curvature e altro tipo di marcatura o effetto particolarmente difficile da ottenere.

I vantaggi per l’azienda che si dota di tale soluzione sono soprattutto economici, in quanto i tempi di lavoro chiaramente si velocizzano e diminuisce così la necessità di manodopera, con tutti i vantaggi che ne derivano per quel che riguarda i costi di produzione. Infine è bene ricordare che questo tipo di tecnologia non ha bisogno dell’impiego di sostanze chimiche o materiali inquinanti, per cui è possibile definirla una tecnologia pulita che concorre a rispettare l’ambiente ed il mondo che ci circonda.

Under 30 e passatempi online, conferme e novità

Come passano il tempo libero online i nativi digitali? Tra i classe 2000 è sempre più marcata la tendenza ad affidarsi alla tecnologia per i propri momenti di svago, ed ecco che quelli che erano i vecchi passatempi, come andare al cinema, giocare ai videogame, o leggere un libro, cambiano abito e si adattano al nuovo contesto ludico. Oggi, grazie al web, non mancano le alternative per chi è alla ricerca di svago all’interno delle mura domestiche. E se lo streaming si sostituisce al classico cinema, secondo un’indagine di Toluna più della metà dei 18-34enni guarda quotidianamente programmi tv e film online, con Netflix che costituisce la prima scelta per il 59% dei giovani italiani.

Un giovane su tre gioca quotidianamente al proprio videogioco preferito

Molte piattaforme per l’acquisto e la fruizione in rete di videogame, come Steam, Instant Gaming, Kinguin, HRK Game, o G2A, propongono contenuti gratuiti. Basta creare un account collegato ai metodi di pagamento online  si avrà accesso a migliaia di titoli, dai più recenti alle pietre miliari di ciascun genere videoludico. Una ricerca di Euromedia Research e Multiplayer.it rivela che un giovane su tre gioca quotidianamente al proprio videogioco preferito, percentuale che sale al 41% tra i giovanissimi. Livelli grafici sempre più vicini al fotorealismo e enormi passi in avanti compiuti nel campo dell’AI conquistano ogni anno milioni di ragazzi e ragazze. Inoltre, quasi tutti i giochi dispongono di modalità multiplayer che permettono di condividere l’esperienza con i propri amici

E-book gratis

Tra i giovani resiste anche chi ama leggere un buon libro. Anche in questo caso il web corre in soccorso con tanti testi scaricabili gratuitamente da poter leggere sul proprio smartphone, tablet, pc. Case editrici come Mondadori e siti di e-commerce come Amazon offrono una vasta scelta, tra classici, libri gialli e rosa.

Un sito da segnalare è Archive.org che mette a disposizione tantissimi libri e riviste, ma anche film e opere musicali non più protetti dal diritto d’autore e quindi liberamente fruibili da chiunque.

I giovani e i social network

Fra i social network, il trono spetta senz’altro a Youtube, sempre più amato dai più giovani e utilizzato per vari scopi. Questo perché i contenuti video disponibili su YouTube spaziano dal semplice intrattenimento all’informazione a veri e propri tutorial su ricette di cucina, fai da te, o strumenti musicali, con personaggi autorevoli del mondo della cultura e della scienza che condividono “sul tubo” le proprie lezioni. Instagram invece resta la prima scelta per chi ama condividere foto e stories. Inoltre, secondo i dati di una ricerca di Blogmeter riguardo l’utilizzo dei social da parte dei più giovani, si nota come nella fascia d’età dai 15 ai 24 anni siano in rapida ascesa piattaforme di condivisione video e live-streaming come Tik Tok e Twich.

Gli italiani pazzi per il podcast: sono 12 milioni gli ascoltatori

Gli italiani hanno un nuovo amore: il podcast. Sono infatti ben 12 milioni, con un incremento di quasi due milioni di persone rispetto al 2018, i nostri connazionali che vogliono solo… ascoltare. Grazie anche all’abitudine allo streaming, gli italiani si sono abituati a nuove forme di fruizione dei contenuti, a partire dalle grandi piattaforme come YoTube, Netflix, Prime Video Amazon e RaiPlay. Si tratta di un pubblico slegato dalla televisione tradizionale e dal telecomando, e che ha imparato a districarsi perfettamente tra app e tecnologie digitali. Lo rivela un recente rapporto Nielsen, aggiornato a ottobre 2019, che ha messo in luce quanto sia forte la passione tra italiani e voce.

Cosa vogliono gli utilizzatori?

In un mondo iperconnesso, i fruitori di podcast cercano sostanzialmente contenuti di qualità. I driver, anche in questo caso, sono informarsi, rilassarsi, divertirsi, scoprire nuove cose.  In sintesi, afferma la ricerca Nielsen commissionata da Audible, contenuti originali (44%) che lo attraggono, specie se appartiene al target giovane che ama divertirsi con i programmi radiofonici. Infatti è proprio la musica è il contenuto più richiesto (45%), ma anche news (42%), seguono intrattenimento (37%) e approfondimenti (33%). C’è anche una discreta quota, nel target 18-24 anni, che usa i podcast in inglese per perfezionare lo studio della lingua.

I luoghi dell’ascolto

E’ interessante anche scoprire quali siano i luoghi in cui le persone utilizzano il podcast. In primis c’è la casa, con il 71% delle preferenze, ma è rilevante anche la percentuale di chi ascolta in macchina (34%) e in autobus (22%). Per quanto riguarda il genere, i fruitori sono in egual misura uomini e donne mentre è davvero sorprendente il dato relativo all’età:  il 68% ha tra i 25 e 34 anni, ma il 59% è ultrasessantenne. Non esistono perciò grandi divari né di età né di genere sessuale. Quanto alla frequenza, i giovani sotto i 24 anni lo ascoltano 4.8 volte al mese, rispetto ad una media di 3.7 (lo scorso anno era 2.7) e circa 23 minuti è la lunghezza media contro i 19 di un anno fa.

Tre profili di ascoltatori

La ricerca Nielsen ha evidenziato tre profili di ascoltatori.  L’abitudinario è quel tipo di persona che ama i podcast e ne fa uso regolare, con una media che arriva fino a più ascolti a settimana. L’ascoltatore seriale, invece, vive di podcast, non può farne a meno, tanto da ascoltarli almeno una volta al giorno ovunque si trovino. Infine l’ascoltatore potenziale, colui che non ascolta podcast per il semplice fatto che non sa di cosa si stia parlando. Infatti, il 49% degli intervistati ha ammesso di non conoscere questo tipo di servizio, seguito a ruota da un 36% che preferisce altre modalità di informazione e intrattenimento.

Viaggi d’affari e sicurezza dei dati: il 65% dei viaggiatori non si sente al sicuro

Solo il 35% dei viaggiatori d’affari si sente molto sicuro di non compromettere la sicurezza dei dati della propria azienda durante la trasferta. E se i viaggiatori americani risultano molto più tranquilli (46%) rispetto a quelli dell’Asia Pacifico (28%) o dell’Europa (27%), la percentuale scende addirittura al 22% per i viaggiatori d’affari italiani. Secondo il CWT Safety & Security Study, una ricerca ideata da Carlson Wagonlit Travel e condotta da Artemis Strategy Group sui viaggi d’affari e la sicurezza dei dati, c’è ancora molto da fare per educare i viaggiatori su come proteggere i dati della loro azienda.

Solo il 3% degli intervistati provenienti dal nostro Paese si preoccupa

Solo il 3% degli intervistati italiani si dichiara preoccupato, ma la loro percezione del problema è abbastanza simile a quella dei colleghi stranieri. In generale le tre situazioni percepite come più pericolose dagli intervistati sono il furto o la perdita dei computer portatili o di altri dispositivi mobili (29%), l’uso di un Wi-Fi pubblico (21%), e il lavoro sul proprio laptop o dispositivo in luoghi non protetti (9%). A queste fanno seguito la condivisione involontaria di documenti aziendali (9%), l’accesso alle e-mail aziendali (8%), l’apertura di un file o di un sito non consentito (8%) e la disponibilità di documenti cartacei (6%).

Quasi la metà dei viaggiatori d’affari ha vissuto una violazione della sicurezza

Quasi la metà dei viaggiatori d’affari (46%) ha vissuto una violazione della sicurezza, percentuale che si riduce al 37% per i viaggiatori d’affari della Penisola. Inoltre, il 37% degli intervistati (36% per gli italiani) ha ammesso di aver scaricato file da mittenti non identificati, e la stessa percentuale ha aperto un’email di phishing (27% per gli italiani).

Fortunatamente, la maggior parte dei viaggiatori ha preso provvedimenti quando è venuta a conoscenza di una violazione della sicurezza o dei dati. Il 37% degli intervistati italiani ha notificato tempestivamente l’evento al dipartimento IT e il 31% ha spento subito il dispositivo, mentre il 25% ha riportato tutto all’azienda. Il 67% degli intervistati italiani inoltre ha confermato di saper segnalare un’email di phishing in modo appropriato.

“Consapevolezza e la formazione sono fondamentali per difendersi dalle violazioni”

“La consapevolezza e la formazione sono fondamentali per difendersi da possibili violazioni della sicurezza”, dichiara Andrew Jordan, Executive Vice President e Chief Technology Officer di CWT. Ma, sempre secondo la ricerca, meno del 20% dei viaggiatori d’affari ha dichiarato di aver ricevuto dalla propria azienda diverse comunicazioni formali o indicazioni sulla sicurezza dei dati e di Internet. E appena il 34% ha ricevuto alcune indicazioni su cosa non fare.

Per l’Italia quest’ultima percentuale sale al 41%, mentre si riduce all’11% quella di chi dichiara di ricevere comunicazioni formali e frequenti.

Facebook, in Italia sono 214mila i profili condivisi con Cambridge Analytica

In Italia i profili di Facebook condivisi in modo improprio con Cambridge Analytica sarebbero più di 214mila, in particolare 214.123. E a livello globale si è arrivati al numero di 87 milioni, ben 37 milioni in più dei 50 milioni di cui si era parlato subito dopo lo scandalo.

I dati aggiornati figurano nel penultimo paragrafo del blogpost pubblicato dal chief technology officer di Facebook, Mike Schroepfer, dove si illustrano i cambiamenti adottati dal social media per proteggere informazioni e dati degli utenti.

“In totale, crediamo che le informazioni di Facebook relative a 87 milioni di persone, prevalentemente negli States, possano essere state impropriamente condivise con Cambridge Analytica”, scrive Schroepfer nel testo.

In Italia 57 persone hanno installato ThisIsYourDigitalLife e hanno coinvolto la loro rete di amicizie

Attraverso un test di personalità, Cambridge Analytica era riuscita ad accedere a informazioni come la città indicata sul profilo degli utenti, o ai contenuti ai quali avevano reagito, riporta QuiFinanza. Circa 320 mila persone sono state pagate tra 2 e 5 dollari per rispondere al quiz, cui si poteva accedere autenticandosi con le credenziali di Facebook. L’app raccoglieva anche altre informazioni, come i like e i dati personali dall’account Facebook, così come quelli degli amici di chi si era sottoposto al test. In Italia le 57 persone che hanno installato ThisIsYourDigitalLife, l’app di Aleksandr Kogan, hanno coinvolto la loro rete di amicizie, arrivando appunto a coinvolgere 214.123 profili.

Zuckerberg: “la responsabilità è mia”

In una conference call con i media Mark Zuckerberg ha ammesso che la società ha commesso un “enorme errore” a non adottare ulteriori misure per proteggere i dati e la privacy dei propri utenti, riferisce Adnkronos. Alla domanda se qualcuno di Facebook fosse stato licenziato in seguito allo scandalo di Cambridge Analytica, Zuckerberg ha detto che la vicenda è una sua responsabilità. “Non ho intenzione di licenziare qualcuno per gli errori che abbiamo commesso qui”.

Per la CE l’accesso ai dati personali e l’uso improprio degli stessi non è accettabile

Per la Commissione Europea, dichiara Christian Wigand, portavoce della CE, “l’accesso ai dati personali e il successivo uso improprio degli stessi appartenenti a utenti Facebook non è accettabile. La commissaria Vera Jourova – continua il portavoce – ha mandato una lettera a Facebook la settimana scorsa, per chiedere ulteriori chiarimenti entro due settimane. Nel frattempo Facebook si è già messa in contatto con noi e dimostrato la volontà di confrontarsi: ora stiamo organizzando contatti ad alto livello nei prossimi giorni”.

Diesel, il bando inizia dalla Germania

Le auto alimentate a diesel saranno via via messe al band sulle strade d’Europa. Lo stop è partito dalle città tedesche: lo ha deciso, per tutelare la qualità dell’aria, il Tribunale amministrativo federale di Lipsia. Al centro del caso ci sono Duesseldorf e Stoccarda, ma la pronuncia del tribunale apre la strada al divieto anche in altre città. E non solo in Germania, perché è arrivato anche l’annuncio del sindaco di Roma Virginia Raggi: a partire dal 2024, nel centro della Capitale sarà vietato l’uso di automobili diesel.

Il rapporto di Greenpeace

Stando agli ultimi report di Greenpeace, Roma è una delle quattro città italiane (insieme a Milano, Torino e Palermo), più colpite dall’inquinamento da biossido di azoto, che negli ambienti urbani proviene per il 70-80% dai trasporti, e in massima parte proprio dai diesel. In base al report dell’associazione ambientalista, come riporta Adnkronos, 39 monitoraggi sui 40 realizzati nei pressi di altrettante scuole, tra asili ed elementari, hanno rilevato concentrazioni di NO2 superiori ai valori limite per la salute umana, individuati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità in 40 microgrammi per metro cubo. La situazione peggiore è quella registrata a Torino e Milano dove i valori hanno superato gli 80 microgrammi per metro cubo, cioè più del doppio rispetto alla soglia sanitaria. Ma a Palermo e Roma la situazione è appena meno grave: con valori compresi tra i 70 e i 60 microgrammi per metro cubo.

In Italia valori pericolosi per la salute

“Quello della Raggi è un annuncio che risponde positivamente alla campagna che Greenpeace sta portando avanti da mesi, rivolta proprio al governo capitolino, oltre che a Milano, Torino e Palermo Abbiamo chiesto un segnale chiaro, una data di scadenza per la tecnologia motoristica più inquinante e nociva per l’ambiente e la salute, che servisse prima di tutto a orientare il mercato. Questo segnale è arrivato e speriamo dissuada fin d’ora i cittadini romani dal comprare ancora auto diesel; così come speriamo misure analoghe vengano presto adottate da tutte le altre città italiane” ha detto Andrea Boraschi, responsabile della campagna Trasporti di Greenpeace Italia.

L’annuncio di Virginia Raggi

Annunciando lo stop delle auto diesel nel centro città dal 2024, la sindaca di Roma Virginia Raggi ha scritto su Facebook: “I cambiamenti climatici stanno modificando le nostre abitudini di vita. Le nostre città rischiano di trovarsi di fronte a sfide inattese. Assistiamo sempre più spesso a fenomeni estremi: siccità per lunghi periodi, come sta avvenendo nel Lazio; precipitazioni che in un giorno possono riversare sul terreno la pioggia di un mese intero; o anche nevicate inusuali a bassa quota come quelle che in questi giorni stanno investendo l’Italia”. “Per questo dobbiamo agire velocemente. Insieme alle altre grandi capitali mondiali – annuncia Raggi – Roma ha deciso di impegnarsi in prima linea e a Città del Messico, durante il Convegno C40, ho annunciato che, a partire dal 2024, nel centro della città di Roma sarà vietato l’uso di automobili diesel”.